Doppelgänger
E se le celebrità e i politici fossero in realtà morti da tempo e sostituiti da cloni e robot? Di questa teoria ne sono convinto molte persone, incluso Donald Trump.
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La letteratura e la cinematografia sono estremamente affascinate dalla figura del doppelgänger (o doppio), e la produzione sul tema è davvero sconfinata. Negli ultimi tempi l’interesse si è traslato sempre di più anche sul mondo del complottismo – al punto tale che le speculazioni su celebrità e politici morti sono ormai onnipresenti. Oggi parlerò di questo.
Prima di partire, ricordo che il mio ultimo saggio Le prime gocce della tempesta è acquistabile nelle librerie (quelle indipendenti sono sempre da preferire) e nei negozi online. Sul mio profilo Instagram trovate una rassegna stampa aggiornata e le date delle presentazioni.
RoboJoe
Joe Biden non è mai stato presidente.
E non perché non abbia vinto le elezioni del 2020, come sostiene chi crede alla Big Lie – ossia i fantomatici brogli commessi dal Partito Democratico per scippare la vittoria a Donald Trump.
No: Biden non ha mai ricoperto quella carica perché nel 2020 è stato ucciso e rimpiazzato da un clone robot.
O almeno, di questo sembra esserne convinto Donald Trump.
Su Truth Social – il suo parco giochi, il luogo in cui dà libero sfogo alle sue fantasie – ha infatti ripubblicato il post di un utente che recita così: “Non esiste alcun Joe Biden – è stato giustiziato nel 2020. Quelli che vedete sono sosia e cloni robotici privi di emozioni. I democratici non si accorgono della differenza”.
La teoria non è nuova, ovviamente: circola da tempo negli ambienti legati a QAnon, e più generalmente in quelli complottisti statunitensi (e non solo).
Durante l’ultima campagna presidenziale aveva preso quota l’idea che Biden fosse segretamente sepolto all’Arlington National Cemetery (uno dei due cimiteri gestiti dall’esercito statunitense) e che fosse stato sostituito dagli attori Jim Carrey e James Woods.
La condivisione di Trump, com’era ovvio, gli ha fatto fare un salto di qualità notevole a livello social-mediatico; e soprattutto ha mandato in visibilio il mondo MAGA, che ha inondato X di post con presunte “prove” della falsità di “Joe Biden”.
La candidata al Congresso Raven Harrison ha pubblicato un video ravvicinato sulle pieghe del collo del 46esimo presidente, affermando che sono irrealistiche poiché tipiche di una particolare “maschera sintetica”.
Vari utenti con la spunta blu a pagamento hanno amplificato questa diceria, postando foto in cui Biden sembra avere una pelle innaturalmente liscia – un segno che starebbe indossando una “maschera usata dalla CIA”.
Altri, invece, hanno sottolineato che in alcune clip e foto l’ex presidente sembrerebbe un gigante di circa due metri e dieci; un’altezza che non coincide con quella dell’“originale”, ma piuttosto compatibile con quella di un androide.
E ancora: in diverse immagini il lobo dell’orecchio destro appare cambiato, e pure il colore degli occhi sembra diverso. Anche la balbuzie di Biden, una condizione di cui non ha mai fatto mistero, sarebbe il segnale di frequenti “disconnessioni” del software del robot.
Sebbene siano del tutto infondate, queste speculazioni fanno leva sull’anzianità di Biden e trasformano la sua età in un’arma propagandistica.
Non a caso, la teoria è tornata in voga dopo la diagnosi di cancro alla prostata e gli squallidi attacchi dei repubblicani sulla sua inadeguatezza a rivestire la carica di presidente (corroborata, a loro dire, anche dalla questione dell’autopenna con cui firmava alcuni provvedimenti).
Al di là della contingenza politica, la suggestione di Biden morto e rimpiazzato da un clone attinge a piene mani da uno dei filoni più longevi e floridi del complottismo moderno: quello del body double, o doppelgänger, o doppio.
Paul-Is-Dead
Il caso pilota – quello da cui è partito tutto – non riguarda un politico ma un musicista: Paul McCartney dei Beatles.
Stando alla ricostruzione di Andru J. Reeve, autore del saggio Turn Me On, Dead Man, le dicerie sulla morte di McCartney si diffondono inizialmente sui giornali dei campus statunitensi all’apice della Beatlesmania.
Secondo la vulgata, il membro dei Fab Four sarebbe morto il 9 novembre del 1966 in un incidente stradale nei pressi di Abbey Road a Londra. Il resto della band avrebbe insabbiato l’accaduto e rimpiazzato l’amico con un sosia.
La teoria Paul-Is-Dead esplode definitivamente nell’ottobre del 1969, quando il conduttore radiofonico Russ Gibb riceve una chiamata da un ascoltare anonimo, che gli dice di ascoltare al contrario l’intro della canzone Revolution 9.
Gibb lo fa e afferma di sentire distintamente la frase “turn me on, dead man” (“accendimi, uomo morto”) – un chiaro riferimento alla scomparsa di McCartney.
La pareidolia uditiva di Gibb è soltanto uno dei tanti fantomatici “indizi” (clue) che i cosiddetti cluesters – una categoria che ricomprende i fan dei Beatles, investigatori amatoriali e gli appassionati della teoria – cominciano a trovare nei testi delle canzoni, nelle copertine degli album, nelle notizie di cronache che riguardano la band, nelle dichiarazioni dei suoi componenti, letteralmente ovunque.
L’eco di Paul-Is-Dead arriva immediatamente allo stesso McCartney. In un’intervista a Rolling Stone racconta di aver ricevuto una chiamata che lo informava di essere morto. “Oh, non mi sembra proprio”, aveva risposto sarcasticamente.
Nel novembre del 1969 il musicista britannico si fa ritrarre insieme alla moglie Linda e la figlia Heather, sulla copertina della rivista Life, dove campeggia l’eloquente titolo “Paul is still with us” (“Paul è ancora tra noi”).
Ma neppure quel servizio riesce a placare le voci; anzi, la teoria s’ingrossa e s’incista nell’immaginario collettivo.
Anche perché, ha scritto Wu Ming 1 ne La Q di Qomplotto, Paul-Is-Dead è “un ciclo di morte e rinascita, e in America “quelle corde [sono] in perenne vibrazione”.
Lo rimarca anche Andru J. Reeve in questo passaggio del suo libro:
noi americani abbiamo un bisogno irresistibile di trasformare le nostre celebrità in divinità laiche. Quando gli dèi laici diventano simili a Cristo, assumono su di sé i peccati del mondo e, se muoiono, li ammiriamo e li adoriamo ancora di più. [Tuttavia] nel paradigma familiare del cristianesimo non c’è posto per quattro cristi, né per un cristo multiplo, [...] uno di loro doveva morire. E, almeno, simbolicamente, uno di loro è morto.
La teoria è comunque meno innocua di quanto possa sembrare a prima vista, e ben presto subisce una torsione macabra.
A un certo punto – ricorda Wu Ming 1 – i cluesters si improvvisano medici forensi e si danno “all’antropometria e alla cefalometria”, misurando “le distanze tra gli occhi e tra gli zigomi dei due Paul, le lunghezze delle braccia e delle gambe, la forma delle orecchie”.
In un certo senso, Paul-Is-Dead ha gettato i semi delle “transvestigazioni” che diventeranno popolari decenni più tardi.
Un altro motivo per cui la teoria prende piede, spiega lo scrittore, è che fornisce “un’esperienza ludica all’altezza della nuova complessità della cultura e del paesaggio mediale”.
In altre parole, la falsa morte di McCartney ha trasformato il pubblico in detective immersi in un processo collettivo. E “nessuna fantasia di complotto”, chiosa Wu Ming 1, “aveva mai avuto quelle caratteristiche, né quella composizione sociale”.
La paranoia del doppio
Da quel momento, il meccanismo partecipativo diventa una caratteristica fissa di ogni fantasticheria su cantanti scomparsi e sostituiti da cloni – basti pensare alle teorie su Tupac o Avril Lavigne, giusto per citare le più note – e si espande in altri campi.
A tal proposito, QAnon è stato descritto sia come un gioco di ruolo alternativo, sia come una forma estrema di fandom politico nei confronti di Donald Trump e altri leader autoritari.
Non sorprendentemente, una delle attività preferite dei seguaci qanonisti è proprio quella di scovare le celebrità politiche morte e rimpiazzate da sosia.
Qualche esempio: Hillary e Bill Clinton sarebbero stati arrestati, giustiziati a Guantanamo e impersonati da attori pagati dai democratici; Vincent Fusca, un sostenitore trumpiano che ha presenziato a tutti i comizi del presidente, sarebbe in realtà JFK Jr. (morto nel 1999 in un incidente aereo); e persino Melania Trump sarebbe stata sostituita.
Per i qanonisti, insomma, nulla è come sembra e nessuno è chi sembra.
A volte, nemmeno i loro familiari sono realmente tali. Sono diversi i casi di cronaca in cui i credenti sono convinti che figli, coniugi e parenti siano degli impostori o facciano parte di una cospirazione più ampia; a volte, questa fissazione può sfociare in tragedia.
Nel campo psichiatrico, questa condizione è descritta come “sindrome di Capgras”: chi ne soffre è convinto che gli affetti più cari siano stati sostituiti da repliche o doppioni.
La paranoia del doppelgänger può però riguardare anche una società o un paese.
Nella narrazione qanonista il vero potere è detenuto dal Deep State (uno stato nello stato parallelo), e dietro ogni avversario politico si nasconde un pedofilo satanista che trama nell’ombra.
Più in generale, lo sdoppiamento della realtà è al centro di quello che Naomi Klein chiama “mondo specchio” – ossia il mondo immaginario e immaginato dalle teorie del complotto, che al tempo stesso ci è familiare e alieno.
Nel saggio Doppelganger, la scrittrice canadese scrive che
non solo un individuo può avere un suo doppio malvagio, anche le nazioni e le culture ne hanno uno. E molti tra noi avvertono e temono la deriva fatale: la transizione da una cultura democratica a una autoritaria, da laica a teocratica, da pluralista a fascista. In qualche paese questa trasformazione è già avvenuta. In altri la si sente arrivare e investe anche la sfera personale, come se fosse un’immagine deformata in uno specchio.
Chiaramente, tornando per l’appunto sulla sfera individuale, nessuno è immune da questo sdoppiamento; tutti abbiamo potenzialmente un doppelgänger.
E sì, anche Donald Trump.
Nel pieno del clamoroso scazzo pubblico con Elon Musk, a un certo punto l’imprenditore sudafricano ha critica l’incoerenza di Trump sulle questioni di politica fiscale chiedendosi se non fosse stato “rimpiazzato da un body double” – ossia un doppio.
Del resto, argomenta Naomi Klein “la nostra vita personale e la nostra immagine pubblica, per quanto possano essere attentamente curate sono sempre esposte a forze che non riusciamo a controllare”.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Il Pentagono ha alimentato le teorie sugli UFO per nascondere veri progetti di ricerca militare su nuove armi (Joel Schectman e Aruna Viswanatha, Wall Street Journal)
Il cerchio magico trumpiano si sta stancando della complottista Laura Loomer, una delle esponenti di punta del mondo MAGA (Jake Lahut, Wired)
Chi l’avrebbe mai detto: una commissione voluta da Robert Kennedy Jr. ha pubblicato un rapporto sanitario con studi inesistenti e “allucinazioni” dell’IA (Andrea Zitelli, Facta)
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Ridicolizzare o riassumere non fedelmente le tesi che non piacciono è un artificio retorico-polemico già messo a punto dai sofisti 2.500 anni fa. Funziona sempre ma è anche facile scoprirlo. E', di fatto, quanto leggo a proposito della annosa questione di "Paul Is Dead". Ci ho scritto un libro sopra, anni fa - "Codice McCartney", Rizzoli - dimostrando che in realtà la questione va posta in altro modo: McCartney non è mai morto e sostituito da un sosia perfetto ma, più semplicemente, McCartney, nel tempo, si è avvalso di sosia per motivi e in situazioni extra musicali (quindi quello che suona e canta, ormai oggi svociato oltre la decenza, è sempre e solo James Paul McCartney nato il 18 giugno 1942 a Liverpool). L'ipotesi di una presenza di sosia in alcune situazioni pubbliche è sostenuta non da una ma due perizie di esperti forensi (non nerd alle prese con programmini sul web) italiani e tedeschi. Due inchieste indipendenti, svolte in tempi e luoghi diversi, su immagini diverse e per motivi diversi. Ad unirle la (ormai) semplice applicazione convergente di tecniche informatiche (tali da consentire la messa in proporzione e il raffronto tra foto diverse) e conoscenze dell'antropometria a cominciare dai celebri "punti di Repere". Esistono parti del nostro corpo immodificabili e tali da caratterizzarci in modo assoluto: oltre alle impronte digitali o al dna pochi sanno che anche, tra le altre cose, i padiglioni auricolari sono unici e pure la distanza tra le pupille (non "la distanza tra gli occhi" come scrivono i maestrini di Wu-Ming 1). Per conferme ci si può rivolgere a qualsiasi facoltà di Medicina o a qualunque reparto di polizia scientifica ma basta anche riflettere sul fatto che da qualche tempo le foto dei passaporti devono mostrare le orecchie...
Chiudo ricordando che non qualche scalcagnata fanzine complottista ma il Times di Londra, il 18 maggio 2007 ha riferito la vox populi che dava nome cognome al sosia di McCartney: Raymond Wood.
Ovviamente tutto è perfettibile e suscettibile a revisioni, anche radicali. Ma per farlo è consigliabile lasciar perdere ironia, superficialità e omissioni e stare ai fatti, contestando nel merito le cose e le perizie con rilievi tecnico-scientifici di pari livello e accuratezza.
Chiaramente c'è anche molto altro ma son già andato lungo così e non voglio scrivere un altro libro. Buon lavoro