Le camicie nere di Trump
Donald Trump ha graziato tutti gli assalitori del Congresso, legittimando la violenza eversiva del passato - e del futuro.
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È iniziato il secondo mandato di Donald Trump e, come ha scritto l’attivista e scrittore Spencer Sunshine, “tutto sta andando un po’ peggio delle peggiori previsioni”. Abbiamo visto i broligarchi in prima fila all’inaugurazione; Musk che fa il saluto fascista; un torrente di ordini esecutivi; le prime deportazioni; e la grazia agli assalitori del Congresso. Oggi parlerò proprio di quest’ultimo provvedimento, che finora mi sembra il più grave.
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Stato di grazia
Anche se era stato ampiamente annunciato durante la campagna elettorale, vederlo succedere fa sempre una certa impressione.
Mi riferisco alla grazia praticamente totale concessa agli assalitori del Congresso statunitense del 6 gennaio del 2021. Con una semplice firma, oltre 1500 persone implicate a vario titolo in quel tentato golpe – che ha causato cinque morti e centinaia di feriti – sono state scarcerate o hanno visto estinta la loro pena.
Il provvedimento, si legge sul sito ufficiale della Casa Bianca, “fa cessare un grave ingiustizia commessa ai danni del popolo statunitense negli ultimi quattro anni e fa partire un processo di riconciliazione nazionale”.
Trump ha anche ordinato al Dipartimento di giustizia di non portare avanti i procedimenti ancora in corso, interrompendo così una delle più lunghe, vaste e complesse inchieste penali della storia degli Stati Uniti.
E non solo: Il 47esimo presidente ha commutato la pena a 14 membri delle milizie di estrema destra Proud Boys e Oath Keepers, tutti condannati per gravi reati – incluso quello della sedizione, definito un complotto tra due o più persone per “rovesciare, abbattere o distruggere con la forza il governo degli Stati Uniti”.
Come hanno ricostruito varie indagini federali, i gruppi si erano messi d’accordo prima del 6 gennaio per formare una sorta di avanguardia paramilitare e sfondare il cordone di polizia, in modo da creare una breccia nel Campidoglio e farci confluire dentro la massa dei manifestanti – com’è poi effettivamente avvenuto.
Tra questi 14 militanti c’è anche il fondatore degli Oath Keepers Stewart Rhodes, che aveva ricevuto una condanna a 18 anni di carcere per sedizione. Nei giorni precedenti all’attacco aveva speso decine di migliaia di dollari in armi e ordinato ai membri della milizia di piazzarsi nelle prime linee dell’insurrezione.
È da sottolineare che la milizia è composta soprattutto da ex poliziotti ed ex soldati radicalizzati; e questo, ha scritto il giornalista David Neiwert, autore del saggio The Age of Insurrection, rende gli Oath Keepers “una delle organizzazioni di estrema destra più pericolose e potenziali letali del paese”.
Non a caso, prima della sentenza il giudice distrettuale Amit Mehta aveva detto che “non possiamo assolutamente consentire” che “un gruppo di cittadini fomenti una rivoluzione perché non hanno gradito il risultato di un’elezione”. Il magistrato aveva poi aggiunto, rivolgendosi a Rhodes, che “lei rappresenta una minaccia e un rischio continuo per la nostra democrazia”.
Anche il leader dei Proud Boys – il gruppo statunitense che più si avvicina al concetto di squadrismo – è stato graziato. Enrique Tarrio, questo il suo nome, aveva ricevuto la condanna più alta per l’assedio del 6 gennaio: 22 anni di reclusione, sempre per sedizione.
Sebbene non fosse fisicamente presente a Washington D. C. quel giorno, aveva comunque dato precise istruzioni ai suoi militanti – dicendo di “non andarsene” una volta dentro il Campidoglio – e aveva rivendicato l’attacco in una serie di messaggi privati.
“Diciamolo chiaramente”, aveva scritto, “siamo stati a noi farlo”.
Liberi tutti
A differenza di quanto aveva suggerito il vicepresidente JD Vance, secondo il quale dovevano essere fatte delle “eccezioni”, l’hanno fatta franca anche gli assalitori più estremi e violenti.
Secondo un retroscena di Axios l’ha deciso personalmente Trump, liquidando ogni remora politica o morale con queste parole: “fanculo, liberateli tutti”.
La lista è particolarmente lunga, ma vale la pena citare qualche nome per rendere l’idea.
Partiamo da Eric Munchel, meglio noto come “zip tie guy” – “il tizio delle fascette”. Il 32enne di Nashville era stato fotografato mentre si aggirava per l’aula del Senato con una giubbetto antiproiettile, una toppa con il teschio del Punitore e diverse fascette di plastica.
Secondo il giudice distrettuale Royce Lamberth, che l’ha condannato a cinque anni di carcere insieme alla madre Lisa Marie Eisenhart (presente anche lei), Munchel voleva “arrestare e tenere in ostaggio i senatori”; non ci è riuscito solo perché “erano già stati evacuati insieme ai loro assistenti”.
Poi c’è David Dempsey, considerato dai procuratori come “uno degli assalitori più violenti nelle fasi più concitate dell’assedio al Campidoglio”. Durante il 6 gennaio 2021 aveva attaccato svariati agenti di polizia con spray al peperoncino, bastoni, sbarre di metallo e calci in testa. Era stato condannato nell’agosto del 2024 a vent’anni di carcere, una delle pene più dure in assoluto.
Subito dopo la sentenza aveva apertamente minacciato agenti dell’FBI, procuratori e attivisti antifascisti, intimando loro di “non esultare troppo perché la condanna durerà qualche mese e poi vi cagheremo in testa per i prossimi quattro anni”.
È stato graziato anche Keith Packer, condannato a 75 giorni di carcere per manifestazione non autorizzata. Nel corso dell’assedio, il 57enne pluripregiudicato indossava una felpa con la scritta “Camp Auschwitz” davanti e “STAFF” dietro; sotto aveva un’altra maglietta con il simbolo delle SS naziste.
Al processo, la procuratrice Mona Furst aveva detto senza mezzi termini che Packer “voleva il rovesciamento della nostra repubblica e l’instaurazione di una dittatura attraverso la forza e la violenza”.
Non poteva mancare Jacob Chansley, il famigerato “Sciamano di QAnon”. L’uomo era stato condannato a tre anni e mezzo di carcere per ostruzione del procedimento elettorale, ma è stato scarcerato nel marzo del 2023 per buona condotta.
Poco dopo l’ufficializzazione della grazia Chansley ha ringraziato Trump su X, aggiungendo in caratteri cubitali che “ADESSO VADO A COMPRARMI DELLE CAZZO DI PISTOLE!!!” In un’intervista alla BBC ha poi dichiarato, visibilmente su di giri, che “non mi pento di nulla” e “mi sento vendicato”.
Chiaramente, a molti poliziotti non è andato giù la scelta di Trump – uno che, almeno a parole, si dipinge come il paladino della “legge e ordine” – di liberare gente che ha aggredito i loro colleghi.
I due principali sindacati di polizia degli Stati Uniti, il Fraternal Order of Police (che ha appoggiato il repubblicano nelle ultime tre elezioni) e l’International Association of Chiefs of Police, si sono detti “profondamente costernati”.
In un’intervista al New York Times, l’ex agente della polizia del Campidoglio Harry Dunn ha riferito che “siamo tutti quanti arrabbiati, tristi e devastati”. L’ex poliziotto Michael Fanone, che è stato uno dei testimoni chiave della Commissione parlamentare d’inchiesta sul 6 gennaio, ha detto di “sentirsi tradito dal mio Paese”.
L’ex sergente della polizia del Campidoglio Aquilino Gonell ha ribadito che si tratta di “un’ingiustizia, un tradimento, una beffa e un insulto per tutti gli uomini e le donne che hanno rischiato la loro vita per difendere la democrazia”.
Una giornata d’amore
In generale, la maggioranza della popolazione statunitense non è d’accordo con questa mossa. In ben tre sondaggi, tra il 59 e il 62 per cento del campione si è detto contrario a concedere la grazia agli assalitori.
La misura è però vista con favore dal 67 per cento della base elettorale repubblicana – l’unica cifra che veramente importa a Trump.
Inoltre, quel provvedimento è l’atto finale di un processo revisionista che va avanti fin dai primissimi momenti dell’assedio.
Come avevo raccontato nella puntata #37, un attacco alimentato da teorie del complotto di ogni tipo (i brogli dei democratici, i voti truccati e persino il coinvolgimento dell’Italia in un fantomatico dirottamento dei satelliti) era finito al centro di diffuse speculazione complottiste.
Una parte della destra statunitense si era infatti convinta che il 6 gennaio fosse una gigantesca false flag orchestrata dall’FBI, oppure da antifascisti e militanti di Black Lives Matter travestiti da sostenitori trumpiani.
Ashli Babbit, l’estremista 35enne uccisa da un agente mentre cercava di raggiungere i deputati armata di coltello, era stata addirittura descritta come un‘“attrice pagata” o un’attivista di sinistra che ha simulato la propria morte.
Dall’altro lato, l’assedio è stato costantemente minimizzato e distorto da numerosi esponenti del Partito Repubblicano; anche da coloro che si trovavano dentro il Campidoglio e hanno rischiato il linciaggio da parte della folla.
Nel maggio del 2021, ad esempio, il deputato Andrew Clyde aveva paragonato l’attacco a una “normale gita turistica”, nonostante esistano foto che lo immortalano nell’atto di bloccare l’ingresso della Camera per non far entrare gli assalitori.
Due anni dopo, nel 2023, la deputata ultratrumpiana Marjorie Taylor Greene aveva visitato i detenuti condannati per il 6 gennaio nel carcere di Washington D. C., definendoli “prigionieri politici” e denunciando un “sistema giudiziario a due livelli” che colpirebbe in maniera sproporzionata i conservatori.
Ovviamente, a riscrivere la storia ci ha pensato anche e soprattutto Donald Trump.
Durante la sua campagna elettorale ha descritto il 6 gennaio come una “giornata d’amore”; gli scontri furibondi e prolungati come “piccoli tafferugli”; e gli assalitori come degli “ostaggi”, promettendone la liberazione nel caso in cui fosse tornato alla Casa Bianca.
Con questa grazia, insomma, il 47esimo presidente non ha salvato soltanto loro – ha salvato pure sé stesso. Se non avesse vinto le elezioni, almeno secondo il procuratore speciale Jack Smith, Trump sarebbe stato condannato in quanto principale ispiratore e istigatore della violenza di quel giorno.
Una violenza che ora ha la legittimazione presidenziale, e che potrebbe tranquillamente replicarsi in futuro.
Per la professoressa ed ex procuratrice Joyce Vance liberare chi ha «attaccato il cuore della democrazia» è un atto fondamentalmente «autoritario», perché normalizza l’illegalità eversiva e la subordina al volere di una singola persona.
In questo senso, il messaggio non potrebbe essere più chiaro: le milizie più radicali possono agire nell’impunità, a patto di rimanere fedeli al presidente.
Trump si è di fatto creato le sue camicie nere, che hanno subito risposto con entusiasmo ed eccitazione.
“Nei prossimi quattro anni”, ha detto Enrique Tarrio al complottista Alex Jones di InfoWars, “dobbiamo fare tutto il possibile per sistemarci per i prossimi cento anni”.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Secondo alcune fonti repubblicane, Donald Trump non sopporta più Elon Musk ma ancora non sa bene come sbarazzarsene (Dasha Burns e Holly Otterbein, Politico)
Sapevamo già che i podcast dei “bro influencer” hanno contribuito alla vittoria di Trump, ma in questa dettagliatissima inchiesta si calcola precisamente quanto e come hanno pesato nella campagna elettorale (Bloomberg)
Tra l’uscita dall’OMS e gli ordini esecutivi sul clima, la seconda presidenza Trump è già un pericolo per la salute globale (Antonio Scalari, Facta)
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