Qui è tutta una “plandemia”, signora mia
“Plandemic”, “Hold Up” e il rinascimento del documentario complottista ai tempi del coronavirus.
Benvenute, benvenuti e benvenuto 2021 alla puntata #3 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Finalmente ci siamo lasciati alle spalle il 2020 – un anno che nessuno avrebbe voluto vivere, ma che ci accompagnerà ancora a lungo. Perché sono successe un sacco di cose, e la maggior parte mi sa che dobbiamo ancora digerirle e metterle in prospettiva.
Una di queste è il rinascimento di un genere molto particolare, che ha raggiunto numeri pazzeschi in tutto il mondo nel corso di questi lunghissimi (o cortissimi? Non lo so, ormai il tempo è andato fuori di sesto) mesi. Vediamolo insieme.
Plandemic e la viralità del complottismo
Al centro della lotta contro un potere oppressivo c’è sempre un grande dilemma: è meglio combattere il sistema da fuori, o farlo al suo interno? O ancora: è meglio entrare dentro il sistema, scoprirne le nefandezze e poi combatterlo da fuori – facendolo con molte più informazioni e autorevolezza?
La dottoressa statunitense Judy Mikovits appartiene a quest’ultima categoria. Biologa di formazione, ha lavorato dal 1992 al 2001 al National Cancer Institute e in seguito al prestigioso Whittemore Peterson Institute come direttrice della ricerca scientifica sulle malattie neuroimmuni. Nel 2009 ha scoperto che un retrovirus dei topi può causare una forma di stanchezza cronica negli esseri umani: la ricerca è pubblicata sulla rivista Science.
A questo punto le cose iniziano a girare per il verso sbagliato. Mikovits ha infatti capito che quello specifico retrovirus arriva agli umani attraverso i vaccini, e non ha paura a dirlo in giro. Il peso di una simile rivelazione diventa però insostenibile per la scienza “ufficiale”: la donna va fermata a tutti i costi. Prima con il ritiro dello studio nel dicembre del 2011; poi addirittura con l’arresto, avvenuto in California qualche mese dopo.
Questa, tuttavia, è soltanto una versione della storia di Mikovits – quella decisamente meno affidabile. In realtà, lo studio era fatto malissimo e non ha retto alla peer review. Anche la motivazione dell’arresto era molto più prosaica: l’istituto aveva denunciato la sua ex dipendente per furto di dati e materiali (accuse in seguito archiviate).
Dopo la caduta in disgrazia e l’espulsione dalla comunità scientifica, Mikovits inizia così la sua seconda carriera di scienziata “eretica”, diventando un punto di riferimento per i siti di “medicina alternativa” (come Natural News e Real Farmacy) e più in generale del movimento antivaccinista statunitense.
Ma la vera notorietà - una notorietà con punte da icona pop - arriva con la pandemia. Ad aprile esce il suo libro Plague of Corruption, che in breve scala le classifiche di Amazon; mentre all’inizio di maggio 2020 è il personaggio chiave del mini-documentario Plandemic (gioco di parole tra plan e pandemic). Realizzato dalla piccola casa di produzione Elevate di Mikki Willis, il video di 26 minuti è un’intervista a Mikovits che mette in fila tutte le teorie circolate fino ad allora sul coronavirus – quindi il laboratorio di Wuhan, l’immunologo Anthony Fauci dietro alla diffusione “deliberata” della pandemia, le mascherine che “attivano il virus”, e così via.
Science e molte altre testate smontano le affermazioni dell’ex ricercatrice una ad una, eppure non basta: Plandemic invade i social media, sospinto dai seguaci di QAnon e dall’ecosistema mediatico pseudoscientifico. Secondo un’analisi del New York Times, in appena una settimana il video viene visto più di otto milioni di volte su varie piattaforme (che lo cancellano a ripetizione). Il grafico qui sotto, che compara le interazioni del documentario con il ritrovo su Zoom del cast di The Office o il concerto online di Taylor Swift, restituisce bene l’incredibile livello di diffusione.
Insomma: un regista amatoriale – che fino ad allora aveva realizzato un solo video virale: quello in cui regala una bambola della Sirenetta al figlio – e una ricercatrice caduta in disgrazia hanno, come si dice in gergo, rotto l’Internet.
Per quanto possa sembrare bizzarro, ci sono vari motivi per cui è successa una cosa del genere. E uno dei principali non sta nei contenuti, ma nella forma stessa di Plandemic: quella del documentario complottista.
Loose Change e il primo “blockbuster di Internet”
L’origine del genere, almeno nella sua conformazione contemporanea, ha una data precisa: il 13 aprile del 2005. Quel giorno Dylan Avery – un regista alle primissime armi di appena 21 anni – rilascia Loose Change, un documentario di “controinchiesta” sull’11 settembre del 2001.
Come ha ricostruito il giornalista John McDermott sulla rivista Esquire, Avery voleva fare un film di azione in cui un gruppo di amici scopre il coinvolgimento del governo americano negli attentati alle Torri Gemelle. Non essendo riuscito a trovare i fondi (era pur sempre uno sconosciuto), Avery ha optato per un documentario a basso budget; nel realizzarlo è stato poi aiutato da altri due ragazzi, Korey Rowe e Jason Bermas.
Naturalmente, le teorie del complotto sull’11 settembre – la demolizione controllata delle Torri, l’inside job dell’amministrazione Bush, il Pentagono colpito da un missile, e tutto il resto del campionario che conosce più o meno chiunque – erano già ampiamente diffuse su siti e forum. Loose Change non ha fatto altro che prenderle e amalgamarle in un prodotto accattivante, creando un nuovo stile attraverso l’uso estensivo di materiale d’archivio, voice-over e musiche simil-techno.
Avery e i suoi amici-collaboratori non avevano la minima idea dell’impatto e dell’eredità che avrebbe avuto il documentario. La prima edizione (in tutto saranno tre, l’ultima delle quali prodotta dal fondatore di InfoWars Alex Jones) esisteva solo su dvd che venivano spediti manualmente via posta. Qualche imprecisato acquirente l’ha poi scaricato su formato digitale e caricato su Google Video, il progenitore di YouTube, dove in qualche mese è arrivato a dieci milioni di visualizzazioni (a cui vanno aggiunti altri milioni di download sui canali P2P).
Secondo McDermott, il lavoro di Avery aveva intercettato un diffuso sentimento di sfiducia nei confronti del governo e delle istituzioni, causato dalle menzogne sulle armi di distruzioni di massa e dalla disastrosa guerra in Iraq. E non solo: Loose Change è riuscito a convincere milioni di persone che i cosiddetti “fatti accertati” siano invece delle “totali fabbricazioni”, e che le produzioni amatoriali e “non ufficiali” abbiano la stessa (o maggiore) dignità dei canali tradizionali.
In sostanza, nota il giornalista, il documentario è un perfetto esempio di “democratizzazione dell’informazione” resa possibile dalla Rete. Non a caso è stato definito “il primo blockbuster di Internet”, nonché una specie di “Via col vento del movimento complottista sull’11 settembre [il cosiddetto 9/11 Truth Movement]”, per citare la definizione dell’attore Alec Baldwin.
Plandemic rientra appieno in questo filone, visto che anche lui è un blockbuster complottista. Ma il 2020, essendo il 2020, ce ne ha regalato pure un secondo.
Hold Up e la “singolarità complottista”
Piccolo inciso prima di andare avanti. Plandemic ha avuto un sequel di 84 minuti, chiamato Indoctornation (un altro gioco di parole tra “indottrinamento”e “dottore”), che secondo Willis doveva essere una risposta ai debunker; è uscito ad agosto, ma non ha lontanamente sfiorato i numeri del primo.
Nello stesso periodo, in Francia, sulle piattaforme Ulule e Tipeee viene lanciato un crowdfunding per un altro documentario a tema coronavirus chiamato Hold Up. Il regista del progetto è l’ex giornalista Pierre Barnérias, mentre il produttore è Christophe Cossé, secondo il quale la Covid-19 è “poco più di un’influenza stagionale”.
La campagna raggiunge cifre mostruose in pochissimo tempo, per un totale di più 200mila euro. Il film viene messo online verso metà novembre, nel pieno della seconda ondata autunnale, ed è ancora più estremo e onnicomprensivo di Plandemic. In quasi tre ore di interviste a nomi noti del complottismo francese (e persino ad un ex ministro) si toccano tutte le teorie del complotto possibili sulla Covid-19 – Bill Gates, i vaccini per sterminare la popolazione, il “Grande Reset”, l’idrossiclorochina come cura miracolosa osteggiata dalla “dittatura sanitaria”, l’immancabile laboratorio, le autopsie “proibite”, il tasso di mortalità manipolato e chi più ne ha, ne metta.
Le reazioni seguono all’incirca lo stesso copione di Plandemic. Il video raggiunge milioni di utenti su Facebook, Vimeo e Dailymotion (che lo rimuovono all’istante), passa sotto la lente di vari siti di fact-checking, e attira l’attenzione della politica francese. Coralie Dubost, vicepresidente del partito di Emmanuel Macron En Marche!, ha dichiarato che “Hold Up non è un documentario, non è giornalismo, è solo propaganda complottista”; la collega Laetitia Avia ha scritto su Twitter che è un ammasso di “fake news su fake news”, e che sarebbe da riderci sopra “se la situazione non fosse così seria”.
Nonostante gli attacchi – o forse proprio grazie a loro – Hold Up continua a macinare visualizzazioni e soldi. Tanti soldi: solo su Tipeee si arriva a quasi 150mila euro al mese. “Non siamo più di fronte a contributi per finanziare il film”, sottolinea il ricercatore Tristan Mendès, “questo è sostegno militante”. In effetti, il documentario è stato spinto da una vasta e composita platea – dai seguaci francesi di QAnon agli antivaccinisti, passando per alcuni deputati di destra e testate come France-Soir.
E qui arriviamo ad una caratteristica cruciale che accomuna Hold Up e Plandemic: la loro capacità di unire persone diverse dietro un unico vessillo, e quindi di formare alleanze che prima non esistevano. È una dinamica che Anna Merlan, giornalista di VICE e autrice del saggio Republic of Lies, ha descritto così:
La tensione costante di vivere in un periodo storico del genere […] ha accelerato un processo che era già in corso da tempo. Chiamiamola “singolarità complottista”, ossia il luogo in cui molte comunità complottiste si incontrano e si fondono, dando vita a un calderone incredibilmente denso.
Più la pandemia si trascina con i suoi devastanti effetti, più la “singolarità complottista” risucchia chi è alla ricerca di una scappatoia psicologica – una qualsiasi – che possa rendere la vita quotidiana meno cupa e sfiancante.
L’idea stessa alla base dei due documentari – la pianificazione di un’emergenza sanitaria senza precedenti – fa leva su questo desiderio. Alla fine, questi video forniscono una serie di motivi per essere arrabbiati e non semplicemente spaventati; e dicono a chiare lettere che l’intera comunità scientifica non agisce per tutelare la salute pubblica, ma fondamentalmente per rovinarci l’esistenza.
Non credete a scienziati, medici ed esperti - ripetono Hold Up e Plandemic - e andrà tutto bene: la vostra vita potrà continuare come prima. Ovviamente non è vero, ma è davvero rassicurante sentirselo dire – e c’è pure chi è disposto a pagare per farlo.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
How a picture of my foot became anti-vaccine propaganda (Marianna Spring, BBC)
In 2020, disinformation broke the US (Jane Lytvynenko, BuzzFeed)
How anti-communist conspiracies haunt Brazil (Vincent Bevins, The Atlantic)
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La prossima settimana parlerò di una teoria del complotto che ha dominato il 2020 in lungo e in largo: quella sulla tecnologia 5G. (L’ultima frase l’ho scritta dal mio nuovo cellulare che supporta il 5G, quindi mi sembrava doveroso.)
Ora devo solo decidere quale recuperare prima fra i tre