Saluti e baci dal laboratorio di Wuhan
Cosa c’è dietro alla teoria del “coronavirus artificiale”, e perché ha fatto così tanta presa in tutto il mondo
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Non potevo che iniziare dal famigerato laboratorio di Wuhan (citato da Matteo Salvini in Senato giusto qualche giorno fa), teatro di una delle teorie del complotto più diffuse e persistenti di questo 2020 – ossia quella del coronavirus costruito a tavolino come arma biologica, oppure sfuggito incidentalmente dopo un esperimento andato male.
Il tema è molto meno fantascientifico e bislacco di quello che sembra, ed è perfetto per esplorare il rapporto tra pandemie e complottismo. Come potete immaginare, è un tema su cui tornerò spesso. Detto ciò, grazie di essere qui: ora si parte per davvero.
La Umbrella Corporation a Wuhan
Nella cultura pop degli ultimi decenni, a parte poche eccezioni (tipo Contagion), l’origine delle epidemie è sempre legata a un esperimento biotecnologico finito orribilmente. Pensiamo a film come Virus Letale, L’esercito delle 12 scimmie e 28 giorni dopo, o all’intera serie di Resident Evil.
In un certo senso, dunque, è scontato che i primi focolai di coronavirus a Wuhan abbiano riattivato questo repertorio narrativo.
A gennaio, ad esempio, sui social era iniziata a girare l’immagine del logo dell’azienda Rlsw (la Shanghai Ruilan Bao Hu San Biotech Limited, che opera nel settore della biotecnologia). Curiosamente il logo è pressoché identico a quello della Umbrella Corporation, la malvagia multinazionale responsabile della creazione dei virus in Resident Evil.
Come ha sostenuto qualche utente su Twitter, non può essere una coincidenza: la Rlsw ha rilasciato il nuovo coronavirus a Wuhan – a più di 800 chilometri di distanza dalla propria sede – per trasformare il globo in un’enorme Raccoon City, la città fittizia in cui sono ambientati diversi RE. L’anagramma di Raccoon, tra l’altro, è proprio Corona (ci sarebbe una C di troppo ma vabbè, ci siamo capiti).
In realtà, della similitudine tra il logo di Rlsw e quello della Umbrella Corporation se ne era già parlato nel 2019. Su Weibo, l’equivalente cinese di Facebook, un utente aveva spiegato che era comparso sul sito provvisorio e si trattava di una sorta di battuta aziendale.
All’incirca nello stesso periodo, la teoria del laboratorio si era fatta strada anche in Italia. Il 25 gennaio il direttore di TgCom24 Paolo Liguori aveva detto di aver appreso da “una fonte attendibilissima” che “tutto nasce dal laboratorio di Wuhan” (cioè l’Istituto di Virologia di Wuhan) in cui si conducono “esperimenti militari coperti dal più grande segreto”.
La “fonte attendibilissima” di Liguori era però l’inaffidabilissimo Washington Times, il giornale fondato nel 1982 del sedicente “profeta” coreano Sun Myung Moon. In un articolo, in cui comparivano virgolettati di un sedicente esperto di armi batteriologiche, si dava per assodata l’origine “militare” e “biotecnologica” del virus.
Queste due vicende, insomma, segnalavano una diffidenza di fondo nei confronti della versione delle autorità cinesi sul luogo di del coronavirus (il mercato del pesce di Wuhan) - una diffidenza, quella sull’origine delle malattie infettive, che non è certo confinata ai margini di Internet. Anzi, viene da parecchio lontano.
Dalla peste nera a Fort Detrick
Nella storia dell’umanità, le grandi epidemie sono sempre state accompagnate da una sfrenata caccia all’untore.
Come ricorda il giornalista scientifico Massimo Sandal in un dettagliato articolo su Facta, durante la peste nera del Trecento gli ebrei furono accusati di diffondere il morbo e sottoposti a pogrom in diverse parti d’Europa. Negli Stati Uniti, la colpa della pandemia di influenza spagnola del 1918 venne fatta ricadere sulle “spie tedesche” che spargevano il virus nel porto di Boston.
Negli anni Ottanta furono invece gli USA a finire nella lista degli untori. Una campagna di disinformazione (chiamata “Denver”) messa in piedi dai servizi dell’Unione Sovietica sosteneva che l’Hiv fosse un virus “ingegnerizzato” a Fort Detrick – il centro di ricerca sulle malattie infettive dell’esercito statunitense – per poi essere usato come arma biologica contro i paesi non-allineati.
Da lì in poi, le teorie su bioterrorismo e laboratori hanno fatto capolino in praticamente tutte le epidemie recenti.
Secondo il capo dei servizi epidemiologici russi Nikolai Filatov, la prima Sars del 2003 è sfuggita da un laboratorio; stando alla ministra della salute indonesiana Siti Fadilah Supari, l’“influenza suina” del 2009 è stata costruita in provetta dalle case farmaceutiche; per alcuni medici greci, l’epidemia di Ebola del 2014 in Africa occidentale è stata causata da un ceppo modificato in laboratorio.
Ad accomunare tutte queste teorie ci sono almeno due caratteristiche. La prima è la plausibilità: da un lato gli incidenti in laboratorio e le fughe di virus esistono eccome, ma vengono scoperti immediatamente dalla comunità scientifica; dall’altro, capire quando c’è stato il primo spillover di un virus zoonotico è un’impresa maledettamente ostica.
Prendiamo l’Hiv: oggi sappiamo che il salto di specie è avvenuto all’inizio del Novecento (se volete conoscere la storia, recuperate il fondamentale Spillover di David Quammen); ma negli anni Ottanta non si sapeva affatto. E l’operazione “Denver” faceva leva proprio su questo.
Lo stesso sta avvenendo con la pandemia di Sars-Cov-2. Il più grande mistero, infatti, è la sua origine. È quasi certo che l’ospite serbatoio sia il pipistrello, mentre l’ospite intermedio ancora non è stato individuato con certezza (i sospetti si concentrano sul pangolino), né tanto meno si conosce - e chissà se mai si conoscerà - la finestra temporale dello spillover.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un’indagine apposita, che ora si trova nella “fase 2” delle ricerche sul campo, ma ci vorrà del tempo. Il 30 novembre del 2020 il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus ha invitato a “non fare confusione” e a “non politicizzare” la questione, rimanendo ovviamente inascoltato.
E qui arriviamo alla seconda caratteristica: l’utilità. “Le ipotesi di un virus costruito in laboratorio”, scrive Sandal, “non sono altro che la versione biotecnologica della tendenza ad additare colpevoli politicamente utili”. Se usate in un certo modo, quindi, diventano delle vere e proprie armi geopolitiche.
Il virus “cinese”, anzi “americano” – no aspetta, forse “israeliano”
Il presidente uscente degli USA Donald Trump, lo sappiamo, non è esattamente un campione di coerenza. Sul coronavirus, in particolare, ha detto tutto e il contrario di tutto: alla fine di gennaio elogiava la Cina per il contenimento dell’epidemia; a febbraio, pur sapendo benissimo la pericolosità del virus, blaterava di “bufala” dei democratici; a marzo annunciava che sarebbe scomparso “per miracolo”; e tra aprile e maggio, sosteneva che la Cina l’aveva fabbricato in laboratorio (tesi ovviamente rilanciata dai suoi cheerleader italiani).
Il segretario di stato Mike Pompeo aveva addirittura annunciato di avere “prove solidissime” sul coinvolgimento dell’Istituto di virologia di Wuhan, salvo poi ritrattare qualche giorno dopo.
Suggestioni di questo tenore sono arrivate anche dalla controparte cinese, che ha tentato di riscrivere la storia della pandemia a proprio uso e consumo. In una serie di tweet, il portavoce del ministero degli esteri Lijian Zhao aveva accusato i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) e l’esercito USA di aver “portato il virus a Wuhan”. Anche in Iran, il paese più colpito nel Medio Oriente, si è parlato di “guerra batteriologica” scatenata da Stati Uniti e Israele.
Ai vari attori statali si è affiancata una sconfinata pletora di “esperti”, medici, ex scienziati ed ex militari che hanno inondato media e social network con le loro “scoperte”. Nel Regno Unito, giusto per fare un esempio, l’ex capo del MI6 (il servizio segreto britannico) Richard Dearlove ha rivelato al Telegraph l’esistenza di uno studio segretissimo sulla fuoriuscita del coronavirus da un laboratorio cinese.
A un certo punto, da questo coro di voci è spiccata quella della virologa cinese Li-Meng Yan. La quale, dall’alto delle sue competenze, sostiene che Sars-Cov-2 sia un virus artificiale composto da pezzi di vari patogeni, in seguito occultati per farlo sembrare “naturale”. L’esperimento sarebbe stato condotto da Shi Zhengli, direttrice del centro di ricerca sulle malattie infettive all’Istituto di virologia di Wuhan, su mandato del governo cinese.
Insieme ad altri colleghi, il 16 settembre del 2020 Yan ha pubblicato un paper dal titolo eloquente: “Unusual Features of the SARS-CoV-2 Genome Suggesting Sophisticated Laboratory Modification Rather Than Natural Evolution and Delineation of Its Probable Synthetic Route”. Il lavoro di Yan è immediatamente ripreso da testate e programmi televisivi di tutto il mondo, trasformandosi così nella pistola fumante della cospirazione del regime di Pechino.
Tuttavia, nello studio in questione torna ben poco. Come nota la CNN, gli autori sono affiliati a degli enti politici che fanno capo a Steve Bannon, l’ex consigliere strategico di Trump caduto (parecchio) in disgrazia, e il miliardario cinese in esilio Guo Wengui. L’articolo è inoltre pubblicato su una piattaforma di articoli non peer reviewed – cioè senza alcun controllo incrociato sui dati – e contiene interi brani presi da un post anonimo su G News, un sito collegato a Bannon.
Per Angela Rasmussen, virologa della Columbia University, l’articolo è “molto ingannevole” per chi non ha un retroterra scientifico, “ma chiunque ha una formazione in virologia o biologia molecolare si renderà conto che riporta delle sciocchezze”. Il cosiddetto “Yan Report”, insomma, è una raffinata operazione di disinformazione.
“Odio pensare che ci possano essere scienziati competenti che mettono il loro lavoro al servizio della propaganda politica”, dice Rasmussen, “ma in questo caso mi sembra che si tratti proprio di questo”.
Il vero laboratorio è il modo in cui stiamo al mondo
Ripetiamolo: la maggior parte degli scienziati rigetta la teoria del virus creato in laboratorio. La settimana scorsa, la virologa Josie Golding ha detto al Guardian che “nessuno si metterebbe a fabbricare un virus del genere, e ci sono troppi collegamenti con virus raccolti in ambienti naturali”.
Eppure, molte persone in giro per il mondo sono genuinamente convinte che sia andata così. Secondo un sondaggio condotto in India, tre cittadini su dieci credono che il coronavirus sia uscito da un laboratorio; negli Stati Uniti, la percentuale è del 23 percento; in Italia, del 25.
Perché questa teoria ha avuto così tanto successo? Al netto della propaganda politica, molto probabilmente lo si deve al fatto che - come ogni teoria del complotto che si rispetti – al suo interno c’è un nucleo di verità: la responsabilità degli esseri umani nell’origine di questa pandemia.
Come ha scritto David Quammen sul New York Times nell’ormai lontano gennaio del 2020,
Invadiamo le foreste tropicali e altri paesaggi selvatici. Tagliamo gli alberi. Uccidiamo gli animali, li ingabbiamo e li vendiamo nei mercati. Distruggiamo gli ecosistemi e stacchiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando succede, hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso, quell’ospite siamo noi.
Ed è il nostro modello di sviluppo – con le sue invasive industrie agrolimentari, l’aggressione costante alla natura, lo sfruttamento intensivo degli animali, le modalità di trasporto basate sui combustibili fossili, un sistema che alimenta ogni tipo di disuguaglianza, e così via – a creare le condizioni ideali per l’esplosione di una pandemia. Riconoscerlo non è affatto semplice, perché implica un cambiamento davvero radicale dell’economia, della politica, della società e quindi del nostro stile di vita.
Le teorie del complotto sul laboratorio di Wuhan sono pertanto dei tentativi per venire a patto con l’enormità di quello che è successo, e al contempo assegnare la colpa a un gruppo ristretto di persone – assolvendo quindi tutti gli altri.
Ma, ribadisce Quammen, va sempre ricordato che ciò che stiamo vivendo “non è una disgrazia piombataci addosso dal nulla; è il risultato di una serie di scelte compiute dall’umanità”. E se continuiamo su questa strada, avvertono gli esperti, ci troveremo a vivere in una “era delle pandemie”.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
The 2020 rabbit hole: Why conspiracy theories draw people in (Lydia Morrish, First Draft)
We need to learn how to talk to (and about) accidental conspiracists (Ben Collins, NiemanLab)
Meet the Dangerous QAnon Figure Doing Whatever It Takes to Win Trump's Approval (David Gilbert, VICE)
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La prossima settimana continuerò a parlare di Covid-19 e complottismo, ma questa volta dal lato “economico”. Metto qui sotto una piccola anticipazione:
Anch'io sono convinto che questo virus sia stato creato in un laboratorio. L'ha detto anche Bill Gates no? Dobbiamo avere paura dei virus, non delle guerre. Appunto, questa è una guerra batteriologica voluta. E dove si trova questo virus? Nei vaccini influenzali. Ho purtroppo prova di una persona a noi cara scomparsa proprio per effetto di questi stramaledetti vaccini che le hanno causato una tosse dalla quale poi è soffocata e che i medici si sono giustificati a dare altri nomi. Non credo nell'Umbrella Corporation e nel suo logo, ma che esistano laboratori che creano questi virus è da criminali e queste persone andrebbero fucilate o giustiziate seduta stante poichè sono criminali contro l'umanità.
https://medium.com/dfrlab/china-revives-conspiracy-theory-blaming-u-s-for-covid-19-4526d316abf3