Il culto di Columbine
Le sparatorie scolastiche in tutto il mondo continuano a ispirarsi al massacro compiuto nel 1999 da Eric Harris e Dylan Klebold.
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Si tende a pensare che le sparatorie scolastiche siano un fenomeno squisitamente statunitense, che in quanto tale non esce mai dai confini degli USA. Ma in realtà non è così. Riguarda eccome anche noi europei: la recente strage di Graz è lì a dimostrarlo. Oggi parlerò di questo, e di come questo tipo di violenza sia alimentata dal mito di Columbine.
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Una strage americana, in Austria
Il 10 giugno del 2025 l’Austria ha subito il peggior attacco armato dalla fine della Seconda guerra mondiale. E a renderlo ancora più grave c’è il luogo in cui è avvenuto: una scuola.
L’attentatore – un 21enne di nome Arthur A. – è entrato intorno alle 9 e 45 di mattina all’istituto secondario BORG Dreierschützengasse di Graz, il capoluogo del Land meridionale di Stiria.
Si è poi diretto al bagno del terzo piano, dove ha indossato degli occhiali protettivi, delle cuffie e un cinturone con un coltello. Poi ha tirato fuori da un borsone una pistola e un fucile a canne mozze.
I primi colpi sono stati esplosi dentro un’aula al secondo piano; successivamente l’uomo ha sparato dentro un’altra aula del terzo piano. Poco dopo le 10 è tornato dentro il bagno e si è tolto la vita con la pistola.
Oltre allo stragista, in appena sette minuti sono morte dieci persone: nove studenti tra i 14 e i 17 anni, e un’insegnante. Sette delle vittime erano di sesso femminile.
Com’è emerso dagli accertamenti della polizia, Arthur A. era uno studente di quella scuola. L’aveva abbandonata due anni fa, senza essere riuscito a completare gli studi.
Con ogni probabilità, l’attacco armato è stato un ripiego – o comunque una parte di un piano più ampio. Dentro l’abitazione del 21enne è stata ritrovata una bomba artigianale, che evidentemente non era riuscito a far funzionare.
Sul movente, invece, le forze dell’ordine austriache hanno mantenuto il più stretto riserbo.
In un primo momento sulla stampa si era parlato di una reazione ad atti di bullismo, ma la circostanza non è mai stata confermata.
Inoltre, lo stesso 21enne non ne ha fatto menzione nella lettera d’addio e nel video che ha lasciato alla madre prima di compiere la strage.
In una conferenza stampa, il poliziotto Michael Lohnegger ha detto che Arthur A. “conduceva una vita estremamente appartata e non partecipava ad attività nel mondo reale”. Passava molto tempo, ha aggiunto, a giocare agli sparatutto in prima persona (che ovviamente – vale la pena ribadirlo – non l’hanno spinto a commettere la strage).
Nonostante fosse stato ritenuto non idoneo al servizio militare, è stato comunque in grado di comprare legalmente delle armi.
Anche se in Italia non è noto, l’Austria è il paese europeo con più armi da fuoco in circolazione in assoluto: ufficialmente ce ne sono un milione su una popolazione di nove milioni, anche se il numero reale potrebbe essere ancora più elevato.
Inevitabilmente, la sparatoria ha sollevato polemiche politiche proprio sull’accesso alle armi.
Elke Kahr, la sindaca comunista di Graz, ha dichiarato alla tv pubblica ORF che “i porti d’armi vengono concessi troppo velocemente: dal mio punto di vista solo le forze dell’ordine dovrebbero essere armate, non i privati cittadini”.
Sono discorsi abbastanza simili a quelli che si fanno negli Stati Uniti dopo ogni sparatoria scolastica. E infatti, come ha detto una vicina di Arthur A., “questa sembra una storia americana, non austriaca”.
La globalizzazione degli school shooting
Lo pensa anche David Riedman, autore del K-12 School Shooting Database (il più grande database sulle sparatorie scolastiche): il massacro in Austria, ha scritto nella sua newsletter, riprende in tutto e per tutto gli school shooting statunitensi.
Anzitutto, le armi sono state comprate legalmente ed erano nascoste in un borsone. L’autore era stato in un poligono di tiro almeno cinque volte.
L’attacco è avvenuto di mattina, durante le lezioni, ed è stato compiuto da un ex studente che aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
Tra le vittime, l’attentatore conosceva soltanto l’insegnante (che in passato è stata la sua); le altre sono state scelte in modo del tutto casuale.
Infine, l’uomo si è deliberatamente ucciso poco prima che la polizia arrivasse sul posto. Sul corpo sono state ritrovate molte altre munizioni – un inquietante segno del fatto che la strage avrebbe potuto essere ancora più letale.
Per Riedman, insomma, la sparatoria a Graz
ci ricorda che il “problema americano” delle sparatorie scolastiche non è esclusivamente americano. Sebbene la disponibilità di armi da fuoco cambi da paese a paese, la strage in Austria dimostra che il percorso verso la violenza – costellato di aspirazioni fallite, di crisi d’identità, del fascino per le armi e del simbolismo sociale che ricopre la scuola per un giovane – è paurosamente universale.
Per quanto gli Stati Uniti rimangano il paese più colpito in assoluto con oltre 2400 episodi dal 1966 a oggi, le stragi scolastiche ormai riguardano quasi tutti i continenti.
Negli ultimi anni, giusto citarne alcune, ci sono state sparatorie in Finlandia, in Svezia, in Scozia, in Germania, nella Repubblica Ceca, in Giappone, in Thailandia, in Brasile, in Russia e in Serbia.
Siamo pertanto di fronte a un fenomeno pienamente globalizzato – una specie di MacDonaldizzazione delle stragi.
Come ha annotato lo scrittore Christian Raimo in un articolo su Internazionale, le sparatorie scolastiche seguono “un modello prestabilito, uno schema replicato di un genere di violenza, esplosiva e sistemica”.
È un tipo di violenza che per la quasi totalità è esercitata dal genere maschile. Il 96 per cento degli autori di queste stragi, puntualizza Raimo, è composto da “maschi, soprattutto adolescenti e postadolescenti, fragili e incapaci di trasfigurare in modo collettivo una rabbia sociale se non pianificando una delirante terribile vendetta personale”.
Molti hanno problemi di salute mentale, che tuttavia non sempre è la causa principale, e si muovono completamente al di fuori dei radar delle autorità – sia quelle scolastiche che quelle di polizia.
L’estremo isolamento degli attentatori fa sì che non vengano rilevati segnali d’allarme, fino a quando non è troppo tardi.
Oltre a ciò, l’aspetto cruciale che li accomuna – e che per certi versi li fa sovrapporre ai terroristi di estrema destra di nuova generazione – è l’emulazione.
“La scelta del luogo, delle armi e delle vittime”, scrive ancora Raimo, “appartiene a una gamma piuttosto definita che sembra citare e ricalcare gli omicidi di massa precedenti”.
A tal proposito, ce n’è uno che svetta su tutti gli altri: quello di Columbine del 20 aprile 1999, in cui sono morte 15 persone (attentatori inclusi).
Per tornare alla strage di Graz, non è affatto un caso che Arthur A. avesse messo uno dei due stragisti di Columbine nella foto profilo dell’account che usava per giocare online.
Columbiners
La sparatoria avvenuta 26 anni fa in Colorado ricopre ancora adesso un ruolo di primaria e disturbante importanza nell’immaginario collettivo, al punto tale che numerosi articoli e studi parlano di “effetto Columbine” o addirittura di “culto di Columbine”.
Stando al giornalista Dave Cullen, autore di uno dei libri più dettagliati sull’eccidio, a Columbine è iniziata l’era delle sparatorie scolastiche moderne: i due stragisti Eric Harris e Dylan Klebold, ha scritto su The Atlantic, sono riusciti a provocare “un’ondata di emulazione dopo l’altra”.
Un tale scenario era stato in qualche modo prefigurato da Klebold. “So che avremo dei seguaci perché siamo delle fottute divinità”, aveva scritto in uno dei suoi diari.
Uno dei motivi della longevità di Columbine, hanno argomentato la professoressa Jillian Peterson e il collega James Densley su The Conversation, è proprio la massiccia presenza di appunti, manifesti e materiali audiovisivi lasciati dai due attentatori.
Harris e Klebold hanno minuziosamente registrato e raccontato le fasi preparatorie della strage, creando così una sorta di canovaccio da cui altri hanno poi attinto a piene mani.
La sparatoria è poi avvenuta in una contingenza storica particolare, a cavallo tra l’era analogica e quella digitale: è stata una delle prime a essere raccontate dai canali all-news, e al tempo stesso la prima a essere discussa estensivamente su Internet. Gli stessi autori avevano accennato ai loro piani nelle chat di AOL.
Il mito di Columbine è stato alimentato anche dalla disinformazione sulle reali motivazioni dei due e su cos’è accaduto prima, durante e dopo il 20 aprile del 1999.
Tant’è che per Cullen esistono due versioni alternative della strage.
In quella reale e comprovata, Harris e Klebold erano degli efferati assassini della porta accanto che – grazie alla smodata facilità di acquistare armi e materiale esplosivo – avevano progettato un vero e proprio attentato terroristico per motivi tutto sommato futili.
Nelle loro intenzioni originarie, l’attacco doveva svolgersi in tre fasi: una bomba nella mensa; una sparatoria per decimare i sopravvissuti; e un’autobomba all’esterno della scuola per finire chi fosse riuscito a scappare. Fortunatamente, gli ordigni non sono esplosi.
Nella versione mitologica, invece, i due erano dei reietti e dei membri della cosiddetta Trench Coat Mafia – una fantomatica “sottocultura goth” che idolatrava le armi, il nazismo e il cantante Marylin Manson.
E soprattutto, erano vittime di costanti atti di bullismo da parte dei “fighi” della scuola. Il massacro sarebbe stato quindi dettato dal (giusto) desiderio di vendetta, e sarebbe stato un allucinato riscatto per i torti subiti.
Nulla di tutto ciò è vero, scrive Cullen: Harris e Klebold “non hanno mai menzionato il bullismo nei loro diari; non facevano parte della Trench Coat Mafia [che era un’innocua associazione scolastica]; non erano nazisti o suprematisti; non hanno preso di mira i bulli. Hanno sparato a casaccio e progettato le bombe affinché colpissero indiscriminatamente”.
Nel corso degli anni, intorno a questa versione si è venuto a creare un vero e proprio fandom – che parzialmente confluisce nella True Crime Community (TCC), di cui avevo parlato nella puntata #114 – che glorifica gli stragisti statunitensi, si immedesima in loro e li vede come degli angeli vendicatori (anche a livello iconografico).
Secondo una stima effettuata del governo russo (a riprova di quanto il problema delle stragi scolastiche sia sentito in Russia), i columbiners sarebbero circa 70mila in tutto il mondo.
Non è una cifra gigantesca, ma non è da sottovalutare: dentro la TCC e le reti affini ci sono individui radicalizzati, pericolosi e pronti a colpire seguendo l’esempio di Harris e Klebold.
La minaccia non è figurativa; è assolutamente concreta.
Dal 1999 a oggi, Columbine ha direttamente ispirato almeno 74 sparatorie scolastiche (riuscite o tentate).
E come dimostra il caso di Arthur A., rappresenta quello che Cullen definisce “uno dei più rivoltanti prodotti americani d’esportazione”.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
L’omicidio politico di una deputata democratica del Minnesota, commesso da un fanatico cristiano in fissa con Donald Trump, ha spinto la destra MAGA a inventarsi un sacco di teorie del complotto (Parker Molloy, The Present Age)
Affidarsi a un chatbot con l’IA per verificare una notizia o un’immagine è una pessima idea, visto che spesso e volentieri sbagliano o si inventano cose di sana pianta (Andrea Zitelli, Facta)
Uno studio dimostra che la disinformazione sulla crisi climatica sta aggravando proprio la crisi climatica (Damian Carrington, Guardian)
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Semmai qualcuno dovesse non saperlo, consiglio il documentario di Michael Moore 😉 Bowling for Columbine.
Quando succede negli USA, i media rompono le palle per settimane ripetendo sempre le solite cose, se succede in un altro paese, un accenno e nulla più. Michael Moore è un sinistrato per niente obiettivo.