Il QAnon di sinistra
Dopo le elezioni è esploso il fenomeno di BlueAnon, le teorie del complotto progressiste che cercano di razionalizzare la vittoria di Trump.
Benvenute e benvenuti alla puntata #88 di COMPLOTTI!, la newsletter che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Ho sempre dedicato molta attenzione a QAnon in questo spazio, perché lo ritengo il movimento complottista più importante e influente degli ultimi anni – al punto tale da aver infettato anche la parte politica opposta, quella che si credeva immune da certe derive. Oggi parlerò dunque di BlueAnon, la versione progressista di QAnon.
Prima di partire, un annuncio personale: dopo ben 15 anni ho deciso di lasciare Twitter (X); al suo posto userò Bluesky. Per chi è interessato, queste sono le mie motivazioni. Aderisco totalmente anche a quelle di Valigia Blu e Facta.
Ricordo sempre che è uscito il mio ultimo saggio Le prime gocce della tempesta. Si può acquistare nelle librerie (quelle indipendenti sono sempre da preferire) e nei negozi online. Sul mio profilo Instagram trovate una rassegna stampa aggiornata e le date delle presentazioni, che aggiorno man mano.
Mai ammettere la sconfitta
Nel 2020 la vittoria di Joe Biden era immediatamente finita al centro di teorie del complotto repubblicane di ogni tipo.
Sui social e sui media conservatori si parlava infatti di estesi “brogli” da parte democratica; di manipolazioni nel conteggio dei voti da parte dell’azienda Dominion, che forniva le macchine per il voto elettronico a diversi stati; e di “fermare il conteggio” dei voti (Stop the Steal) per ristabilire il corretto funzionamento delle elezioni.
A un certo punto eravamo stati tirati in ballo noi – sì, l’Italia – con il cosiddetto “ItalyGate”.
Secondo una serie di complicate e fantasiose speculazioni, partite da ex militari ed ex agenti della CIA riciclatisi come “controinformatori” trumpiani e commentatori di Fox News, i satelliti di Leonardo sarebbero stati dirottati per scippare i voti a Trump e regalarli a Biden.
Tutte queste teorie erano poi confluite nella cosiddetta Big Lie (“la grande menzogna”), ossia la convinzione che le elezioni fossero state ingiustamente sottratte a Donald Trump.
Nel rifiutare di ammettere la sconfitta, Donald Trump e il suo entourage le avevano amplificate una dopo l’altra. La campagna di disinformazione era culminata in una serie di cause legali (tutte rigettate), e nell’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021.
Nonostante gli esiti nefasti di quelle teorie, il complottismo elettorale è entrato stabilmente a far parte della propaganda trumpiana. Al punto tale che, come avevo raccontato in questa puntata, le agenzie di intelligence erano piuttosto preoccupate in vista delle presidenziali del 2024.
La vittoria del candidato repubblicano ha però cambiato radicalmente lo scenario. E tutto d’un tratto, le teorie sui brogli – alcune delle quali formulate preventivamente anche dallo stesso Trump – sono magicamente scomparse.
O meglio: sono sparite solo quelle repubblicane. Al loro posto ne sono comparse di segno opposto, diffuse cioè da ambienti liberal e personalità progressiste soprattutto su Threads.
Secondo una di queste, circolata nell’immediatezza del voto, le elezioni sarebbero state truccate da Peter Thiel (uno dei magnati della Silicon Valley più vicini ai repubblicani), Steve Bannon e Vladimir Putin, perché mancherebbero all’appello circa “20 milioni di voti democratici” rispetto alle precedenti presidenziali.
Per questo motivo Kamala Harris non dovrebbe ammettere la sconfitta, ma chiedere un riconteggio. Questa richiesta – che la candidata democratica naturalmente non ha accolto – è stata espressa da centinaia di utenti su X, che hanno mandato in tendenza l’hashtag #DoNotConcedeKamala (“Kamala non ammettere la sconfitta”).
A scrutinio completato, in realtà, i voti che Harris ha perso rispetto a Biden sono circa dieci milioni. È un crollo significativo, certo; ma perfettamente spiegabile attraverso vari fattori politici, economici, comunicativi e demografici – non con imprecisate cospirazioni o denunce di brogli inesistenti.
I satelliti di Elon Musk
Quella più gettonata è però un’altra e riguarda Starlink, il sistema di Internet satellitare di Elon Musk.
Secondo diversi utenti su TikTok e X, tra cui la scrittrice Joyce Carol Oates, l’imprenditore sudafricano avrebbe utilizzato i suoi satelliti per hackerare i macchinari per il conteggio dei voti e alterare il risultato elettorale.
"SMETTETE DI DIRE CHE TRUMP HA VINTO QUESTE ELEZIONI! NON È MAI STATO COSÌ! … È STATO USATO STARLINK!", ha scritto l’utente Michelle Baker in un post su X che ha raccolto decine di migliaia di like e quasi quattro milioni di visualizzazioni.
Nel tentativo di occultare le prove, Musk avrebbe poi distrutto un satellite di Starlink nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 2024. Per quanto quest’ultima circostanza sia vera – un satellite si è effettivamente disintegrato nella fase di rientro, come prevede il protocollo dell’azienda quando arriva alla fine del suo ciclo – tutto il resto è falso.
Come hanno spiegato varie testate, le macchine per il conteggio non sono collegate alla rete Internet né tanto meno hanno dispositivi di connessione Wi-Fi, radio o Bluetooth: non possono essere dunque manipolate da remoto in alcun modo.
Inoltre, secondo una nota ufficiale dell’Agenzia per la cybersicurezza e la sicurezza delle infrastrutture (CISA, che si occupa di sorvegliare sulla correttezza delle votazioni), le presidenziali si sono svolte regolarmente e “senza alcuna interferenza sull’integrità del processo elettorale”.
Paradossalmente, queste speculazioni ricalcano in maniera pressoché identica quelle dell’ItalyGate e di “Stop the Steal” – solo che sono a parti invertite.
Le teorie del complotto, dopotutto, occupano interamente lo spettro ideologico. Nel caso di specie servono sia a razionalizzare la rielezione di Trump – un evento traumatico per una persona di orientamento liberal – che a prendersela con chi l’ha resa possibile, ingigantendo o distorcendo le loro responsabilità.
Non c’è alcun dubbio, infatti, che Musk abbia ricoperto un ruolo cruciale nella vittoria del candidato repubblicano.
Durante la campagna elettorale ha investito centinaia di milioni di dollari, è apparso ai comizi più importanti nella fase finale e ha trasformato X in una martellante macchina di propaganda trumpiana, alterando l’algoritmo per spingere i contenuti repubblicani e penalizzare quelli democratici.
Sono queste azioni, compiute alla luce del sole, ad aver influito sull’esito delle elezioni. Le teorie in questione intercettano e interpretano a modo loro un nucleo di verità innegabile: Musk, ossia l’uomo più ricco del mondo, ha effettivamente interferito nel procedimento elettorale statunitense.
Solo che non l’ha fatto con i satelliti, ma con il suo inaudito potere economico e mediatico. L’ha fatto con X, per farla breve; ossia la stessa piattaforma dove proliferano le speculazioni su Starlink.
L’ascesa di BlueAnon
Le teorie progressiste sui brogli arrivano a distanza ravvicinata da quelle sul fallito attentato a Donald Trump.
Sui social – specialmente, indovinate un po’?, su X – erano stati avanzati dubbi sul fatto che la ferita dell’allora candidato repubblicano fosse vera; si era sostenuto che la sparatoria fosse una false flag, cioè un’operazione sotto falsa bandiera, organizzata dalla campagna di Trump; e si era parlato di un vero e proprio “auto-attentato”.
E ancora: dopo il primo (e unico) dibattito televisivo tra Donald Trump e Joe Biden, diversi utenti democratici avevano imputato la disastrosa performance del presidente all’illuminazione scelta dalla CNN, che a loro dire l’aveva reso “reso pallido come un fantasma”.
Sempre su X, altri utenti avevano sostenuto che l’intervista di Biden ad ABC News – organizzata per dissipare (invano) i dubbi sulla sua salute fisica e mentale – non sarebbe andata per il verso giusto a causa di un presunto abbassamento della qualità audio per farlo apparire vecchio, debole e confuso.
Questa specifica forma di complottismo progressista ha ormai un nome: BlueAnon, un gioco di parole tra “Blue” – il colore ufficiale del Partito Democratico – e QAnon, il movimento complottista trumpiano.
Il termine circola ormai da qualche anno ed è nato a destra, quando tra il 2020 e il 2021 gli influencer conservatori l’avevano utilizzato per screditare i democratici e negare alla radice l’esistenza di interferenze russe durante la campagna elettorale del 2016 – interferenze poi accertate da quattro indagini diverse condotte da organismi parlamentari e agenzie di sicurezza federali.
Tuttavia, sempre intorno allo stesso periodo, altri osservatori non repubblicani avevano rilevato la crescente diffusione di teorie del complotto anti-Trump.
Il giornalista Mike Rothschild aveva scritto su Daily Dot che “i quattro anni di presidenza Trump sono state costellati da discussioni sul suo presunto status di spia russa, sulle sue finanze, sulla sua salute, e addirittura sull’ipotesi che sua moglie [Melania Trump] sia stata rimpiazzata da una sosia”.
L’effetto cumulativo di queste teorie, proseguiva Rothschild,
hanno reso estremamente difficile discutere di politica in modo razionale […]. Invece di adottare un rigoroso scettiscismo, stiamo scivolando sempre di più verso spiegazioni intrise di complottismo.
Naturalmente, tra QAnon e BlueAnon c’è una grossa differenza: il primo è ormai parte integrante della propaganda repubblicana, ed è stato apertamente rilanciato da Trump in migliaia di occasioni. Il secondo invece non è stato adottato da alcun parlamentare o politico democratico, e rimane dunque confinato in sacche dell’elettorato progressista.
Ma ormai è un fenomeno impossibile da ignorare.
E di fronte a un secondo mandato che si preannuncia a dir poco estremo e traumatico, non potrà che aumentare d’intensità.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Gli esperti lo dicono senza mezzi termini: se Robert Kennedy Jr. dovesse veramente diventare il nuovo segretario alla salute, sarebbe una “catastrofe” assoluta per la sanità pubblica statunitense (Anna Merlan, Mother Jones)
Per sfuggire alle preannunciate epurazioni trumpiane, sembra che ex militari ed ex funzionari governativi si stiano preparando a lasciare gli Stati Uniti (Isaac Stanley-Becker e Ellen Nakashima, Washington Post)
Rifacendosi alla nostra propaganda sovranista, l’estrema destra spagnola sta lanciando una feroce campagna d’odio contro la Croce Rossa e le ong impegnate sul campo dopo la devastante alluvione che ha colpito Valencia (Javier Cavanilles, El Diario)
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