Io sono vendetta
Tra teorie del complotto elettorali, propositi eversivi e minacce nei confronti dei “nemici interni”, Donald Trump sta dando un assaggio di cosa potrebbe essere il suo secondo mandato.
Benvenute e benvenuti alla puntata #86 di COMPLOTTI!, la newsletter che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Spesso e volentieri le teorie del complotto sono proiezioni. Attribuiscono ad altri comportamenti, intenzioni e progetti che sono in realtà di chi le diffonde. Per intenderci: quando Trump e i trumpiani parlano di “brogli” dei democratici, in realtà sono loro stessi a volerli commettere. E visto che siamo molto vicini al voto, oggi parlerò proprio di teorie del complotto elettorali e del loro impatto sulla campagna.
Prima di partire, segnalo questo mio intervento sulla “remigrazione” (di cui ne ho parlato in questa puntata) al podcast Fuori da qui curato da Simone Pieranni.
Ricordo sempre che è uscito il mio ultimo saggio Le prime gocce della tempesta. Si può acquistare nelle librerie (quelle indipendenti sono sempre da preferire) e nei negozi online. Sul mio profilo Instagram trovate una rassegna stampa aggiornata e le date delle presentazioni, che aggiorno man mano.
La notte che bruciammo le urne
Mancano ormai pochi giorni alle elezioni più importanti del 2024 – le presidenziali statunitensi.
La situazione, come saprete, non è esattamente serena. E tra comizi razzisti (con tanto di Hulk Hogan che urla mentre fatica a strapparsi di dosso la maglietta), scenari distopici e sondaggi che danno Trump e Harris testa a testa, la tensione politica nel paese ha raggiunto livelli di guardia piuttosto importanti.
E in alcuni casi, è già sfociata in atti di violenza e sabotaggio.
Alcune urne che contenevano le schede elettorali (in gergo ballot drop box) sono state infatti bruciate a Vancouver e Portland, rispettivamente nello stato di Washington e dell’Oregon.
Nella prima città i danni sono stati rilevanti. Il rogo, appiccato intorno alle quattro di mattina del 28 ottobre del 2024, ha distrutto 475 schede depositate nell’urna al di fuori del Fisher’s Landing Transit Center, una stazione degli autobus.
A Portland, invece, il sistema antincendio dell’urna ha salvato la quasi totalità delle schede: le uniche tre danneggiate sono già state rispedite agli elettori.
A riprova della gravità del fatto, l’indagine per risalire ai responsabili è stata affidata all’FBI. Greg Kimsey, il presidente della commissione elettorale della contea di Clark (dove si trova Vancouver), ha parlato di “attacco diretto alla democrazia”, mentre la governatrice democratica dell’Oregon Tina Kotek ha scritto su X che “qualsiasi atto criminale che cerca di ostacolare le prossime elezioni è anti-americano e non sarà tollerato”.
Washington e l’Oregon fanno parte di quei 27 stati che, insieme al Distretto di Columbia, prevedono il meccanismo del voto per corrispondenza anche attraverso il deposito delle schede elettorali dentro le urne disseminate in punti strategici delle città – all’interno di edifici pubblici oppure all’aperto, in luoghi riconoscibili e facilmente accessibili.
Questa modalità ha registrato un netto aumento negli ultimi anni. Nel 2020, soprattutto a causa della pandemia, era stato scelto da ben 66,4 milioni di elettori – il 42 per cento dell’elettorato.
Ed è proprio intorno al voto per corrispondenza che si sono concentrate svariate teorie del complotto repubblicane, rilanciate ampiamente anche da Donald Trump.
Il polemista di estrema destra Dinesh D’Souza ha addirittura diretto un documentario chiamato 2000 Mules, pieno di speculazioni infondate e calunnie nei confronti di cittadini della Georgia (che sono poi costate il ritiro dal commercio e una transazione extragiudiziale piuttosto onerosa).
A ogni modo, secondo tali teorie i democratici avrebbero truccato le schede elettorali via posta per manipolare le scorse presidenziali.
Peccato che questi brogli, come accertato dagli stati e dalle corti federali, non sono mai esistiti: le elezioni si sono svolte nella piena regolarità e non è stato segnalato alcun problema legato ai ballot drop box.
Il complottismo elettorale che incombe sul voto
Ma la cosiddetta Big Lie (“grande menzogna”) trumpiana – che è, per l’appunto, la falsa convinzione che le elezioni del 2020 siano state rubate – ha scavato a fondo nell’immaginario del movimento MAGA e dei conservatori statunitensi.
Talmente a fondo da aver generato un filone complottista specifico e autonomo, che sta aumentando d’intensità alla vigilia del voto e che le forze dell’ordine considerano estremamente pericoloso.
In un documento congiunto tra l’FBI e il Dipartimento della sicurezza interna (DHS, Department of Homeland Security), reso pubblico il 28 ottobre del 2024 da NBC News, si legge infatti che il processo elettorale potrebbe essere minacciato da “estremisti violenti” che credono nelle teorie del complotto elettorali e “cercano di terrorizzare [gli elettori] e interferire nel voto”.
Tra gli scenari di rischio elencati dalle due agenzie federali ci sono atti di violenza ai seggi, negli uffici dove ci si registra nelle liste elettorali e ai comizi politici, nonché atti di vandalismo contro le urne che contengono le schede elettorali.
La lista dei potenziali bersagli include inoltre candidati, scrutatori, giudici, giornalisti e pubblici ufficiali incaricati di supervisionare il corretto funzionamento del procedimento elettorale.
Secondo l’FBI, è quest’ultima categoria a essere presa maggiormente di mira con minacce fisiche e online – in particolar modo nelle aree dove i risultati sono più incerti e in bilico.
Nella contea di Maricopa in Arizona, che nel 2020 è stato uno degli epicentri della Big Lie, le autorità hanno drasticamente aumentato le misure di sicurezza: le guardie di sicurezza indosseranno giubbotti antiproiettile, mentre i seggi saranno sorvegliati da droni e cecchini della polizia.
A Philadelphia – la più grande città della Pennsylvania, che quasi sicuramente sarà lo stato cruciale delle elezioni – il capannone dove verrà svolto lo spoglio dei voti postali è stato circondato da una recinzione con il filo spinato. A Detroit e Atlanta, città chiave negli swing state di Michigan e Georgia, sono state messe barriere antiproiettile in diversi seggi.
Daniel Baxter, il responsabile dello scrutinio dei voti a distanza e per corrispondenza di Detroit, ha detto espressamente in un’intervista all’Associated Press che “ci aspettiamo disordini e dunque ci stiamo preparando per il peggio, anche se speriamo per il meglio”.
Un’altra agenzia d’intelligenza statunitense, il Colorado Information Analysis Center (CIAC, che si occupa di controterrorismo), parla apertamente di “minacce interne” – ossia di scrutatori e funzionari che aderiscono a teorie del complotto elettorali e cercano di ostacolare lo spoglio o la certificazione del voto.
In un documento ottenuto dalla ong Property of the People e visionato da Wired, si elencano diverse red flag (comportamenti sospetti): distruggere o manipolare le schede; far entrare nei seggi persone non autorizzate; accedere ai sistemi informatici ufficiali a orari strani; o spegnere le telecamere di sicurezza.
Non è ovviamente un caso che venga lanciato un allarme di questo genere. Il complicato sistema elettorale statunitense prevede la partecipazione di funzionari di vario grado e livello, che hanno la possibilità di incidere nelle diverse fasi del voto.
A tal proposito, secondo varie inchieste, decine e decine di complottisti trumpiani ricoprono ruoli importanti negli stati in bilico e potrebbe causare parecchi danni nel caso in cui il risultato non sia gradito.
Il nemico interno
C’è infine un terzo documento riservato, compilato dal Dipartimento della sicurezza interna e pubblicato anch’esso da Wired, che pone l’attenzione su possibili episodi di violenza estremista legata al voto.
Gli analisti del reparto di intelligence hanno infatti individuato diverse “fantasie complottiste” sulla possibilità che scoppi una “guerra civile” nel caso di una sconfitta di Trump. Gli estremisti ne stanno apertamente discutendo nei loro circuiti online – e anche su Facebook, che ha ormai abdicato alla moderazione dei contenuti.
Secondo gli analisti, queste teorie complottiste elettorali hanno il potere di “spingere gli individui a mobilitarsi in modo violento”.
Come avevo scritto in questa puntata, quello della “seconda guerra civile americana” è uno dei miti più longevi dell’estrema destra statunitense ed è stato anche alla base dell’assedio al Congresso del 6 gennaio del 2021.
Il timore delle agenzie federali, insomma, è che il prossimo novembre possa ripetersi uno scenario simile.
Ma del resto, è lo stesso Trump a fomentare i suoi seguaci con suggestioni eversive.
Nel marzo del 2023, prima dell’avvio ufficiale della sua campagna, aveva promesso di fronte alla platea del CPAC (la più importante convention conservatrice degli Stati Uniti) di essere “il vostro guerriero, la vostra giustizia e la vostra vendetta”.
Nelle ultime settimane la sua retorica si è invece focalizzata sul “nemico interno”, identificato in chiunque osi mettergli i bastoni tra le ruote.
La lista è potenzialmente infinita: in primis Kamala Harris e i democratici; poi i “marxisti” e i “comunisti” che si annidano nelle istituzioni; e infine, pure i repubblicani che non vogliono seguirlo fino in fondo.
In un’intervista a Fox News, Trump è arrivato a dire che il 5 novembre bisognerebbe schierare l’esercito o la Guardia Nazionale proprio contro questi “nemici interni”.
In sostanza, ha invocato un altro 6 gennaio – e in forma persino peggiore, cioè un golpe militare.
Come ha annotato il New York Times, non era mai successo che un “candidato presidenziale, nonché ex presidente, minacciasse l’utilizzo dell’esercito contro dei cittadini americani semplicemente perché si oppongono alla sua candidatura”.
E non era neppure successo che ex membri di spicco della prima amministrazione Trump come John Kelly, o ex generali come Mark Milley, descrivessero il candidato repubblicano come un “fascista fino al midollo” che – in caso di ritorno alla Casa Bianca – metterebbe a repentaglio la tenuta democratica del paese.
Eppure, sta succedendo davvero. Sta succedendo di nuovo.
E sta succedendo, per parafrasare il titolo di un famoso romanzo di Sinclair Lewis, proprio nel paese in cui si pensava che non sarebbe mai successo.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
In un eventuale seconda amministrazione Trump potrebbe dare un “incarico importante” all’antivaccinista Robert Kennedy Jr., con risultati catastrofici per la sanità pubblica statunitense (Andrew Prokop, Vox)
Vi ricordate del social di Trump, Truth Social? Ecco: ora è a tutti gli effetti un generatore automatico di teorie del complotto (New York Times)
Il dibattitto dei dibattiti: Trump è un fascista? C’è chi dice di sì, come ho detto nel pezzo; e chi dice di no, pur sottolineando che è comunque un pericoloso leader autoritario (Jan-Werner Müller, Guardian)
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Sembra quasi di leggere un articolo ambientato in Russia o in Ungheria 😨 e la cosa triste è che lì è anche peggio 😢