Il complotto che si è ritorto contro Trump
Il presidente si trova a dover gestire la più grave crisi interna del secondo mandato, causata dalle teorie del complotto su Jeffrey Epstein che lui stesso ha alimentato.
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Il Sacro Graal MAGA
Negli ultimi giorni il movimento MAGA – dallo slogan trumpiano “Make America Great Again” – è piombato in una feroce guerra civile.
Il casus belli è la pubblicazione di un promemoria congiunto dell’FBI e del Dipartimento della giustizia sul caso del finanziere e predatore sessuale Jeffrey Epstein, su cui da anni circolano teorie del complotto di ogni tipo.
Il dossier in questione, sul quale si erano addensate grandi aspettative, le smentisce praticamente tutte: Epstein si è davvero suicidato in carcere nel 2019; non è stato ucciso da nessuno per zittirlo e non fargli rivelare indicibili verità.
In più, non esiste alcuna “lista di clienti” compilata dal finanziere per ricattare i potenti che usufruivano del suo giro di prostituzione.
Ora: questa lista è una specie di Sacro Graal sia per la destra trumpiana che per i seguaci di QAnon, il movimento complottista convinto che gli Stati Uniti siano segretamente governati da pedofili satanisti.
Secondo loro, in questo leggendario documento ci sarebbero i nomi di celebrità liberal e politici democratici – tra cui ovviamente i Clinton e Barack Obama. L’amministrazione Biden, sostengono senza alcuna prova, avrebbe fatto di tutto per tenerla nascosta.
A partire dal 2019, fiutandone l’utilità in chiave anti-dem, Trump in persona ha rilanciato le teorie complottiste sul caso. E ha continuato a farlo anche fuori dalla Casa Bianca, galvanizzando la sua base con la promessa di far uscire la verità una volta tornato al potere.
Lo stesso hanno fatto gli attuali numero uno e due dell’FBI – Kash Patel e Dan Bongino, che prima di essere nominati da Trump erano degli influencer che rilanciavano teorie qanoniste a tutto spiano – nonché la procuratrice generale Pam Bondi.
Lo scorso febbraio, quest’ultima aveva convocato alla Casa Bianca una serie di content creator MAGA per consegnare loro dei corposi raccoglitori bianchi con la dicitura “The Epstein Files: Phase 1”. Stando alle sue rassicurazioni, dentro ci sarebbe stata la prima infornata di documenti inediti e declassificati sul caso.
L’iniziativa era stata ampiamente pubblicizzata, con tanto di foto ufficiali in cui gli influencer – inclusi gli estremisti di destra Mike Cernovich e Jack Posobiec, due tra i principali promotori della teoria del Pizzagate – esibivano trionfanti i raccoglitori fuori dalla Casa Bianca.
Com’era però emerso piuttosto in fretta, dentro non c’era nulla di nuovo. Era una sòla, in pratica.
“Siamo ancora in attesa delle cose davvero succulente, di cui però non c’è traccia in questi faldoni”, aveva scritto su X Liz Wheeler, presente all’incontro.
Le cose “succulente” avrebbero invece dovuto esserci nel dossier di FBI e Dipartimento della giustizia.
Le mancate rivelazioni – e anzi, la smentita dell’esistenza di nuove rivelazioni – hanno inevitabilmente acceso una polemica violentissima nel mondo MAGA, probabilmente la più intensa da quando Trump è di nuovo presidente.
“Un tizio fantastico”
A questo punto è utile ripercorrere brevemente la vicenda.
Jeffrey Epstein è stato un finanziere con amicizie altolocate, che si è costruito un impero economico in modo decisamente opaco, facendo il consulente finanziario per gli ultra-ricchi di New York.
Dal 1994 almeno fino al 2005, come hanno rivelato varie indagini giornalistiche e di polizia, Epstein ha reclutato ragazze adolescenti – spesso minorenni – costringendole a prostituirsi durante le cosiddette “sedute di massaggi” nelle sue abitazioni a Palm Beach (Florida), a New York e nell’“isola dei pedofili” di Little Saint James, nelle Isole Vergini americane.
Una delle figure chiave della rete di Epstein era Ghislaine Maxwell, figlia del magnate dei media Robert Maxwell. Secondo l’accusa, reclutava e “preparava” molte delle vittime. Nel 2021 è stata condannata a 20 anni di carcere per cinque capi d’accusa, tra cui traffico di minori a scopi sessuali.
Il percorso giudiziario di Epstein è iniziato all’inizio degli anni Duemila con alcune cause civili e denunce intentate dalle vittime. Nel 2008 ha patteggiato una condanna a 18 mesi di carcere per adescamento di minori: così facendo si è salvato da un processo federale, dove le pene sarebbero state molto più alte.
Nel luglio del 2019 è stato invece arrestato con l’accusa di traffico sessuale su base federale. Il finanziere aveva chiesto il rilascio su cauzione, ma la richiesta era stata negata. Il diniego l’aveva spinto a tentare di togliersi la vita una prima volta.
Il 10 agosto 2019 è stato infine trovato morto impiccato nella sua cella al Metropolitan Correctional Center di New York. Aveva 66 anni.
Sin da subito le autorità l’hanno catalogato come suicidio, ma la versione ufficiale è stata rigettata con forza dagli ambienti MAGA e qanonisti attraverso il meme complottista “Epstein didn’t kill himself” (“Epstein non si è suicidato”).
Per quanto siano state smentite una dopo l’altra, le teorie sul caso si basano comunque su nuclei di verità evidenti.
Sì, Epstein ha commesso crimini orribili; sì, l’ha scampata per troppo tempo; sì, si circondava di uomini potenti; e sì, questi uomini abusavano delle ragazze reclutate da lui e da Maxwell.
Secondo quanto denunciato Virginia Giuffre – che si è suicidata lo scorso aprile – i due l’hanno costretta ad aver rapporti sessuali con il principe Andrea. Il duca di York e fratello minore di re Carlo ha sempre negato l’accusa, ma si è ritirato dalla vita regale e ha transato un cospicuo risarcimento extragiudiziale.
Tra questi uomini potenti – ma sul punto le teorie glissano clamorosamente – c’era anche Donald Trump.
Esatto: i due sono stati amici per diversi anni. Nel 2002 l’attuale presidente arrivò addirittura a definire Epstein “un tizio fantastico” a cui “piacciono le donne come piacciono a me, anche se a lui piacciono più giovani”.
L’anno successivo, come ha rivelato il Wall Street Journal, Trump scrisse un biglietto d’auguri a Epstein in cui compariva lo schizzo di una donna nuda e l’allusiva frase “abbiamo alcune cose in comune, Jeffrey”.
Nel 2004, tuttavia, i due ruppero i rapporti a causa di una battaglia legale per l’acquisto di una villa a Palm Beach.
Subito dopo l’arresto di Epstein, Trump si era affrettato a dire che “non gli era mai piaciuto” – smentendo così il sé stesso di diversi anni prima.
La scatola nera del trumpismo
Ma torniamo all’attualità.
Per la sua natura anticlimatica, degna di un’operazione di debunking, il dossier congiunto è stato preso malissimo dalla base trumpiana.
C’è chi, come l’influencer estremista ultratrumpiana Laura Loomer, ha chiesto la testa di Bondi definendola “dannosa per l’immagine del presidente Trump”. Altri, come la deputata Marjorie Taylor Greene, hanno preteso che si faccia “chiarezza” una volta per tutte.
L’ex generale Michael Flynn, considerato un eroe dal movimento di QAnon, ha ricordato a Trump in caratteri cubitali che “IL CASO EPSTEIN NON SCOMPARIRÀ DA SOLO”. L’opinionista di estrema destra Matt Walsh ha scritto che “non ci facciamo prendere per il culo dai nostri leader politici”.
Nel suo podcast, il neonazista Nick Fuentes è stato ancora più tranchant. “Fottiti”, ha detto rivolgendosi a Trump, “fai schifo, sei grasso, sei una barzelletta. Un giorno ci guarderemo indietro e capiremo che il movimento MAGA è stata la più grande truffa della storia”.
Altri ancora hanno parlato apertamente di tradimento, e dal loro punto di vista non hanno torto: il caso Epstein è davvero la scatola nera del trumpismo.
Da un lato incarna l’idea secondo cui le élite del paese sono composte da pedofili depravati che la fanno sempre franca grazie alle loro coperture politiche.
Dall’altro alimenta il mito di Trump come salvatore dell’America – il solo e unico leader unto dal Signore che può sventare il complotto del Deep State (lo “Stato profondo”), fare piazza pulita dei nemici, rendere giustizia alle vittime e inaugurare una nuova “età dell’oro”.
Inchiodare i complici di Epstein è un passaggio fondamentale. Non farlo è apostasia; e non farlo quando si è al potere, be’, è ancora più grave.
Il movimento MAGA è dunque attraversato da una vera e propria crisi di fede, ancora più lacerante di quella provocata dal bombardamento dei siti nucleari dell’Iran e la rottura della promessa isolazionista di non intervenire militarmente nel Medio Oriente.
Dal canto suo, Trump ha difeso Pam Bondi e bollato lo scandalo Epstein come qualcosa di “vecchio” e “noioso”. In un lungo post su Truth Social ha rincarato la dose, parlando di una “bufala” orchestrata dai democratici e invitando i suoi a non “abboccare” a questa “stronzata”.
Ma non è bastato. Con un atto di sfida piuttosto inaudito, il 15 luglio il presidente repubblicano della Camera Mike Johnson – uno stretto alleato del presidente – ha chiesto la pubblicazione della “lista dei clienti” e dei documenti processuali ancora secretati.
Alla fine Trump ha parzialmente ceduto alle pressioni, autorizzando Pam Bondi a pubblicare le “testimonianze rilevanti del grand jury” – la giuria popolare che decide se una persona può essere incriminata o meno.
È chiaramente un contentino, che sarà del tutto insufficiente: il caso Epstein è ormai una macchina mitologica che si autoalimenta e prescinde totalmente dalla realtà empirica.
Per il resto, la frattura nella base MAGA è la plastica dimostrazione di come certe narrazioni qanoniste abbiano ormai infettato il Partito Repubblicano al punto tale da mettere in discussione l’autorità stessa del presidente.
“Un movimento politico fondato e cresciuto sulle teorie del complotto”, ha scritto il giornalista Shawn McCreesh sul New York Times, “si sta cannibalizzando su quella che per loro è la madre di tutte le moderne teorie del complotto”.
Dopotutto, all’apice del grande scazzo dello scorso giugno, Elon Musk aveva scritto su X che Trump sarebbe nella lista di Epstein. E la presenza di Trump sarebbe esattamente il motivo per cui la lista non poteva uscire.
Il complottismo su Epstein si è insomma ritorto contro Trump – cioè contro colui che più di ogni altro al mondo l’ha fomentato.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
È passato un anno dal fallito attentato contro Trump e sappiamo ancora molto poco dell’autore Thomas Crooks (Steve Eder e Tawnell D. Hobbs, New York Times)
Il gruppo terroristico neonazista The Base ha rivendicato l’omicidio di un agente dei servizi segreti ucraini a Kyiv (Ben Makuch, Guardian)
L’incredibile storia vera di come per anni decine di spie russe sono riuscite a fingersi cittadini statunitensi modello (Alexander Howard, The Conversation)
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Si dice dalle mie parti “ nn sputà pe l’aria ch t ritorna mbaccia”.
Nursery Rhyme: “The Writers Who Cried Trump”
Trump and Epstein went to play,
In every headline, every day.
Writers wrote with ink so thin,
They forgot to wipe their own damn chin.
Mama says it’s time to grow,
Stop the echo, let it go.
Every tale’s the same old song,
Do you write, or just drag on?
Newsmen chant with fevered sass,
But Mama still must wipe their ass.
Truth gets buried, wit runs dry,
When all you print is “who, what, why.”
There’s a world beyond that door,
But lazy pens just beg for more.
Trump and Epstein, rinse, repeat,
No fresh thoughts, just tired deceit.
So hush now, scribes, take off the mask,
Try telling stories that dare to ask.
The page is wide, the ink runs deep,
Stop rocking readers back to sleep.