Il grande scazzo
Quello tra Elon Musk e Donald Trump, ovviamente, condotto a colpi di post sui social, minacce reciproche e teorie del complotto.
Benvenute e benvenuti alla puntata #120 di COMPLOTTI!, la newsletter che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Bisogna ammetterlo: è molto appagante assistere allo scontro tra Elon Musk e Donald Trump. Dopotutto, era chiaro fin dall’inizio che i due prima o poi avrebbero scazzato. Ma quello che sta andando in onda sui social non riguarda soltanto il presidente degli Stati Uniti e l’uomo più ricco del mondo; riguarda, tra le varie cose, anche le sorti della democrazia. Oggi parlerò di questo.
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C’eravamo più o meno amati
La relazione tra Donald Trump e Elon Musk non è mai stata tranquilla e serena, per usare due eufemismi.
Al contrario: vuoi per i caratteri volatili, vuoi per l’ego sconfinato, vuoi per la vendicatività dei due, il bromance era destinato a finire sin dal primo momento.
E infatti, da un mese a questa parte sta finendo; e lo sta facendo decisamente male.
Lo scorso 5 giugno, dopo aver formalmente lasciato la guida del DOGE, Musk aveva iniziato a criticare apertamente la “Big, Beautiful Bill” trumpiana (la legge di bilancio approvata in via definitiva il 3 luglio dalla Camera), definendola una “follia” e dicendo che avrebbe causato una recessione.
Nel corso di un incontro allo Studio Ovale, Trump aveva risposto in maniera piuttosto piccata – parlando della relazione con Musk al passato, e aggiungendo che avrebbe comunque vinto le elezioni presenziali anche senza le centinaia di milioni di dollari sborsate dal proprietario di Tesla.
Quest’ultimo aveva subito controbattuto su X: “Senza di me Trump avrebbe perso, i democratici controllerebbero la Camera e i Repubblicani avrebbero un margine risicato al Senato. Che ingratitudine”.
Trump aveva a sua volta replicato su Truth Social: prima scrivendo che Musk è “uscito di testa” perché nella legge c’è il taglio dei sussidi alle auto elettriche; poi minacciando di rescindere i contratti governativi con le imprese del magnate sudafricano.
In privato pare che abbia detto pure di peggio, descrivendo Musk come “un tossico” sulla base di un articolo del New York Times che dettagliava il suo regolare uso (e abuso) di sostanze stupefacenti.
Musk aveva a sua volta minacciato di sganciare “una grande bomba” – ossia la rivelazione del fatto che il nome di Trump sarebbe nella “Epstein List”, la fantomatica lista dei clienti del miliardario pedofilo Jeffrey Epstein, suicidatosi in carcere nel 2019.
Si era trattato di un colpo piuttosto basso e al contempo ben mirato, visto che la destra trumpiana (insieme al movimento di QAnon) è letteralmente ossessionata dalle teorie del complotto su Epstein.
Per finire, Musk aveva condiviso un post che invocava l’impeachment di Trump e la sua sostituzione con il vicepresidente JD Vance.
Lo scazzo sembrava essere rientrato dopo qualche giorno. Il magnate sudafricano si era cosparso il capo di cenere e aveva addirittura ammesso su X di “essersi spinto troppo in là” con alcuni post.
Ma la tregua è durata molto poco.
Muskenfreude
All’inizio di questa settimana, in concomitanza con il dibattito parlamentare sulla legge di bilancio, Musk è tornato all’attacco.
Sulla sua piattaforma ha scritto che la norma vanificherà i tagli del suo DOGE e “manderà in bancarotta gli Stati Uniti”; i parlamentari repubblicani dovrebbero vergognarsi e ribellarsi a Trump, altrimenti ci penserà lui a toglierli di mezzo alle prossime elezioni di metà mandato.
Musk ha poi manifestato l’intenzione – non si sa quanto seria o provocatoria – di lanciare un proprio partito politico, chiamato America Party.
Il 47esimo presidente, com’era ampiamente prevedibile, ha ribattuto a muso durissimo. In successione, ha ventilato l’ipotesi di usare il DOGE contro Musk; espellerlo dagli Stati Uniti; e togliergli sussidi e sgravi fiscali.
“Elon potrebbe ricevere più sussidi di qualsiasi altro essere umano nella storia, di gran lunga, e senza sussidi probabilmente Elon dovrebbe chiudere bottega e tornare a casa in Sudafrica”, ha scritto su Truth Social.
“Niente più lanci di razzi, satelliti o auto elettriche, e il nostro Paese risparmierebbe una FORTUNA”, ha infine chiosato.
Come ha scritto Paul Krugman nella sua newsletter, c’è qualcosa di catartico e soddisfacente nell’assistere a questo clamoroso divorzio condotto sui social e sui media.
A tal proposito, il premio Nobel per l’economia ha tirato in ballo il neologismo Muskenfreude – una crasi tra Musk e il termine tedesco Schadenfreude, che indica il piacere provocato dalla sfortuna altrui.
“Musk e gli altri oligarchi”, ha sottolineato l’economista, “presto si accorgeranno quanto poco potere può garantirgli la loro ricchezza nel contesto politico che loro stessi hanno contribuito a creare”.
Con la sua usuale brutalità, Trump l’ha detto chiaro e tondo: Musk dipende dagli aiuti dello Stato federale; quindi dipende dal potere politico; quindi dipende da me.
Poco importa che Musk l’abbia ricoperto di soldi e gli abbia messo a disposizione la sua piattaforma: un autocrate non guarda in faccia a nessuno – men che meno agli alleati riottosi o a chi non si inchina abbastanza.
Per certi versi questa situazione ha diverse analogie con la fase iniziale del consolidamento del regime di Vladimir Putin, che è uno dei modelli di Trump.
L’ascesa del presidente russo è stata attivamente sostenuta dagli oligarchi che si erano oscenamente arricchiti depredando e spolpando le aziende statali dell’Unione Sovietica.
Quella che ritenevano la propria creatura politica – e pertanto manovrabile a loro piacimento – gli si è però rivoltata contro quasi subito.
In una newsletter su NPR, il giornalista Greg Rosalsky ha ricordato che all’inizio degli anni Duemila
Putin ha offerto agli oligarchi un patto: piegatevi alla mia autorità, non mettetevi di mezzo e potrete tenervi le vostre ville, i vostri superyacht, i vostri jet privati e le vostre società multimiliardarie (che solo pochi anni prima erano del governo russo). Negli anni successivi, gli oligarchi che non hanno rispettato questo accordo sono finiti in una prigione siberiana, oppure sono stati costretti all'esilio o sono morti in circostanze sospette.
Ora: è improbabile che l’uomo più ricco del mondo faccia la stessa fine di un Mikhail Khodorkovsky, per dire, o cada improvvisamente dalla finestra di un grattacielo.
Eppure, non è astrattamente impossibile.
E già questo la dice lunga su cosa possono diventare – o stanno già diventando? – gli Stati Uniti.
MAGA vs. Broligarchi
Lo scontro tra Musk e Trump va comunque ben oltre l’ego smisurato tra i due.
È uno scontro tra movimenti: Maga contro broligarchi. È uno scontro tra visioni del mondo diverse.
Ed è anche e soprattutto uno scontro tra “due forme di potere che ritengono di avere due basi di legittimità diverse”, come mi ha detto Stefano Feltri, fondatore della newsletter Appunti e autore del recente Il nemico. Elon Musk e l’assalto del tecnocapitalismo alla democrazia.
“Trump rappresenta il potere tradizionale delle democrazie in versione populista, cioè il potere che deriva dal consenso”, spiega il giornalista, “mentre Musk ha il potere che deriva dalla tecnologia e dalla ricchezza”.
Per Feltri, insomma, stiamo assistendo allo scontro “tra chi deve governare nell’epoca dell’intelligenza artificiale e della governance algoritmica”.
È proprio su questo punto, del resto, che la coalizione trumpiana si sta lacerando.
Steve Bannon – uno dei principali ideologi della destra trumpiana sin dal 2015 – da tempo chiede a Trump di cacciare Musk e di nazionalizzare SpaceX, e in generale di andare ancora più a fondo con le politiche protezionistiche.
Di contro i magnati della Silicon Valley, pur avendo appoggiato Trump, sono estremamente insofferenti ai dazi e vivono con il terrore che la scure della autorità regolatorie possa abbattersi su di loro in qualsiasi momento.
Non è un caso, dunque, che siano sempre più affascinati dalle teorie antidemocratiche e antistatali di Curtis Yarvin e Balaji Srinivasan, che immaginano un amministratore delegato-dittatore a capo degli Stati Uniti e città-stato per iper-ricchi basate su criptovalute.
Bannon detesta queste suggestioni tecno-utopiste, poiché ritiene – e non a torto – che possano portare a un tecno-feudalesimo escludente e dannoso per la base elettorale MAGA, che stravolgerebbe il trumpismo così come lo conosciamo.
Del resto, con la promessa di fondare un nuovo partito o di finanziare repubblicani ostili a Trump, Musk sta cercando di fare esattamente questo: “mettere fine al trumpismo come forza dominante e unica nel mondo repubblicano”, dice Stefano Feltri.
Per questo, continua il giornalista, un Musk di opposizione potrebbe essere addirittura “più pericoloso, o quanto meno più disruptive, di un Musk di governo”.
Il Musk di governo è allineato al potere politico; quello di opposizione lo sfida direttamente.
E nel farlo, conclude Feltri, cerca di “affermare la supremazia del potere che rappresenta, che è intrinsecamente e irrimediabilmente anti-democratico (o a-democratico), perché non ritiene di aver bisogno della democrazia per essere rilevante”.
Non è detto che ci riesca, ovviamente. Di certo, però, c’è che la “MAGA Civil War” – la guerra civile delle correnti MAGA – è appena cominciata.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Trump ha usato uno degli epiteti antisemiti per eccellenza – “Shylock” – salvo poi dire che non sapeva che fosse un epiteto antisemita (Giselle Ruhiyyih Ewing, Politico)
Il fact-checking fatto con l’intelligenza artificiale rischia di mettere in circolo ancora più disinformazione e teorie del complotto (Robert Booth, Guardian)
Per la prima volta la polizia antiterrorismo francese ha arrestato un incel 18enne pronto a commettere un attentato (Kieran Guilbert, Euronews)
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