La magia di Pallywood
Secondo una teoria promossa dal governo israeliano, i palestinesi starebbero fingendo la propria morte per ingannare l’opinione pubblica mondiale.
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Chi legge questo spazio sa che i grandi sconvolgimenti sollevano sempre un’ondata di complottismo. L’abbiamo visto con la pandemia e con l’invasione russa dell’Ucraina; e ora lo vediamo con il conflitto israeliano-palestinese.
Tra le varie teorie, quella che più ha preso piede è anche la più odiosa: sostiene che i palestinesi starebbero fingendo le proprie sofferenze, fino al punto di falsificare la propria morte. Questa teoria ha anche un nome: “Pallywood”. Vediamo insieme di cosa si tratta.
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Gaza è un set cinematografico
Dalla strage del 7 ottobre a oggi, la Striscia di Gaza e i suoi due milioni di abitanti stanno subendo un assedio totale fatto di bombardamenti incessanti, evacuazioni forzate, penuria di medicinali, scarsità di cibo, mancanza di elettricità e persino di acqua.
A partire dalle Nazioni Unite, tutte le agenzie internazionali parlano di una catastrofe umanitaria che si avvia verso il punto di non ritorno. Anche il numero delle vittime palestinesi è spaventoso: più di undicimila, inclusi quattromila bambini.
E sono numeri tragicamente destinati a crescere.
Nonostante ciò – e nonostante la mole immensa di materiale audio-visivo – alcuni influencer israeliani hanno lanciato un trend decisamente sadico: quello di prendere in giro le sofferenze dei palestinesi.
C’è chi beve avidamente dal rubinetto; chi si diverte a spreca l’acqua che i palestinesi non hanno; chi balla al ritmo della luce che manca nella Striscia; chi sfotte le donne palestinesi, truccandosi con la polvere delle macerie; e chi sostiene che i palestinesi non siano davvero vittime di bombardamenti.
Si travestono da vittime, ma non lo sono affatto: sono gli attori di un elaborata messinscena.
Gaza non sarebbe pertanto una striscia di terra martoriata e martellata dalle bombe, ma il set cinematografico della fiorente industria di “Pallywood” – una parola composta da “Palestina” e “Hollywood”.
In queste ultime settimane la teoria è letteralmente esplosa: secondo un’analisi di Logically, dal 7 al 27 ottobre è stata menzionata più di 146mila volte su diverse piattaforme social.
Oltre agli influencer e gli utenti comuni, a rilanciarla contribuiscono pure politici israeliani e gli account ufficiali dello stato di Israele.
Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano presso il mondo arabo, ha postato su X/Twitter una clip che mostrerebbe alcuni palestinesi intenti a simulare ferite, scrivendo che “i palestinesi stanno fregando l’opinione pubblica internazionale: NON CASCATECI”.
Come hanno fatto notare numerose testate, quel video è il dietro le quinte di The Reality – un film libanese diretto dal regista Mahmoud Ramzi.
Il 26 ottobre, invece, l’account di Israele ha pubblicato su X/Twitter alcuni post in cui sosteneva che un giovane palestinese avesse celebrato il lancio di missili di Hamas per poi calarsi nei panni di un paziente reduce da un bombardamento.
La persona in questione, tuttavia, non è un attore; e non è nemmeno la stessa persona. Si tratta di due giovani diversi: il primo si chiama Saleh Aljafarawi, ha 25 anni ed è un creator di contenuti; il secondo è il sedicenne Mohammed Zendiq, rimasto ferito lo scorso agosto durante un raid israeliano in Cisgiordania.
Qualche giorno dopo, l’account ufficiale ha rincarato la dose postando un altro video fuori contesto in cui si vedono dei corpi muoversi dentro un sacco bianco. “I corpi non possono muovere la testa”, recita sarcastico il tweet – che ovviamente è falso.
Non pago, l’account di Israele ha pubblicato un video in cui un uomo regge in mano il corpo di un bambino, accusando Hamas di usare dei “bambolotti” per impietosire l’opinione pubblica.
Tuttavia, il cadavere ripreso era reale: si trattava di Omar Bilal Al-Banna, un minorenne ucciso da un bombardamento israeliano.
La nascita di Pallywood
Sebbene il volume delle menzioni sia senza precedenti, il termine “Pallywood” non è nuovo - risale infatti alla Seconda Intifada.
Il 30 settembre del 2000, nel corso di una sparatoria al valico di Netzarim nella Striscia di Gaza, il dodicenne Muhammad al-Durrah e il padre Jamal si ritrovano in mezzo al fuoco incrociato tra israeliani e palestinesi.
I due cercano rifugio ma una raffica colpisce il dodicenne, che crolla in braccio al genitore.
L’intera scena viene ripresa dal cineoperatore palestinese Talal Abu Rahma, e il servizio va in onda su France 2 causando uno scandalo planetario. L’esercito israeliano in un primo momento si dichiara responsabile, mentre in un secondo momento ritratta e accusa l’emittente francese di aver manipolato le immagini.
È esattamente da questo episodio che nasce il velenoso mito delle messinscene palestinesi. Nel 2005 lo storico americano Richard Landes pubblica un documentario – intitolato per l’appunto Pallywood – in cui avanza la tesi che i palestinesi abbiano falsificato la morte di al-Durrah grazie a questa presunta “fiorente industria di cinema a cielo aperto”.
Seguendo le orme di Landes, ha scritto la giornalista Natasha Roth-Rowland sulla rivista +972
è spuntata una legione di esperti di psicologia forense e comportamentale in poltrona che decostruiscono video della violenza israeliana contro i palestinesi. Lo scopo è screditare quello che è stato filmato, e quindi minare tutta la narrazione palestinese sull’occupazione, un proiettile alla volta.
Da allora, “Pallywood” è diventata parte integrante della propaganda israeliana.
Nel 2013, ad esempio, un’indagine promossa dal governo Netanyahu ha stabilito che l’IDF non solo non aveva sparato ad al-Durrah, ma che il 12enne non era stato neppure colpito dai proiettili.
In altre parole: qualcuno si era inventato la sua morte.
L’anno dopo, durante le proteste dell’anniversario della Nakba, le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso due adolescenti palestinesi a Beitunia. Anche in questo caso la sparatoria è stata ripresa dalle telecamere, e anche in questo caso Israele ha parlato di “riprese manipolate”.
E ancora: nell’estate del 2015 gli omicidi di alcuni palestinesi a Duma vengono addossati agli stessi palestinesi, sebbene sia stata opera di coloni israeliani.
La lista potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma il meccanismo è piuttosto chiaro ed è perfettamente coincidente con la teoria statunitense dei crisis actor.
Da Sandy Hook alla Palestina, passando per Bucha
Come avevo ricostruito in questo lungo articolo per Facta, è dalla strage alla scuola elementare di Sandy Hook che ogni sparatoria di massa negli Stati Uniti viene bollata come un’elaborata messinscena, mentre le vittime diventano dei crisis actor – ossia attori pagati per recitare la parte dei morti.
La teoria ha preso piede soprattutto per merito di Alex Jones, il fondatore del sito InfoWars, che ha dato grande spazio ai cosiddetti truther (traducibile come “cercatori di verità”) di Sandy Hook – cioè complottisti, estremisti e personaggi equivoci che per anni hanno perseguitato le famiglie delle vittime.
Lo stesso Jones ha pagato carissimo la diffusione di quelle falsità, ma il danno che ha provocato è incalcolabile.
Per il giornalista Jason Wilson la teoria dei crisis actor funziona perché crea una narrazione parallela rispetto a quella ufficiale: dato che le stragi non sono mai avvenute, gli Stati Uniti non hanno alcun problema con le armi da fuoco.
E lo stesso vale anche per altri contesti, tra cui quelli bellici.
Nelle fasi iniziali dell’invasione russa dell’Ucraina, ad esempio, la propaganda russa si è avvalsa dei crisis actor per negare i propri crimini di guerra – tra cui il bombardamento dell’ospedale di Mariupol e il massacro di Bucha.
A ben vedere, il mito di “Pallywood” assolve alle stesse funzioni: contraddire l’evidenza; deflettere la responsabilità; e diffamare gli oppressi.
Secondo la giornalista Roth-Rowland, la teoria israeliana serve a veicolare il concetto che “gli atti di violenza contro i palestinesi, sia da parte di soldati che di civili israeliani, non sono mai quello che sembrano”, e che in generale “i palestinesi non possono mai essere creduti”.
E dunque – questo è il terrificante sottotesto – possono essere uccisi nella più totale impunità.
Tanto alla fine non muoiono nemmeno sul serio, giusto?
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Quando si dice il caso: l’aggressore di Paul Pelosi, il marito della ex speaker della Camera Nancy Pelosi, era ossessionato da varie teorie del complotto trumpiane (Brandon Drenon, BBC News)
Adobe Stock ha venduto immagini false sulla guerra a Gaza senza dire che erano state generate dall’intelligenza artificiale (Cam Wilson, Crikey)
Un’interessante analisi sui “nazisti di colore”, ossia gli estremisti di destra che appartengono a minoranze odiate dagli estremisti di destra (Spencer Sunshine, Unicorn Riot)
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