Il massacro di Uvalde e i fantasmi di Sandy Hook
Le teorie del complotto sulla strage scolastica in Texas sono molto simili a quelle sul massacro di Sandy Hook del 2012, che avevano creato un pericoloso modello di disinformazione.
Benvenute e benvenuti alla puntata #45 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Ad appena dieci giorni dalla strage razzista di Buffalo, negli Stati Uniti c’è stata un’altra spaventosa strage alla Robb Elementary School di Uvalde, in Texas. Com’era già successo dieci anni fa con il massacro alla scuola elementare di Sandy Hook, anche questa sparatoria di massa ha generato diverse teorie del complotto – di cui mi occuperò nella puntata di oggi.
Prima di partire, ricordo che nelle storie del mio profilo Instagram c’è sempre la rassegna stampa aggiornata di Complotti!. Il libro si può acquistare dal sito di minimum fax, in libreria e negli store online.
Un altro giorno di morte in America
Ai troll dell’imageboard 4chan sono bastate poche ore per risalire alla vera identità dell’autore dell’orrendo massacro alla scuola elementare di Uvalde in Texas, dove il 24 maggio del 2022 sono stati uccisi 19 bambini e due insegnanti.
Contrariamente a quanto sostengono le forze dell’ordine e le autorità statali non si tratta del 18enne Salvador Ramos (morto sul posto), ma una ragazza transgender di vent’anni di nome Sam. “Ecco il profilo Reddit di chi ha sparato,” recita il post accompagnato da una foto e un insulto transfobico.
Inizialmente, ricostruisce un articolo di NBC News, non sono in molti a dare corda a quella insinuazione palesemente falsa; ma qualcuno ci crede e inizia a spargerla su altre piattaforme social.
Come spiega la ricercatrice Joan Donovan al giornalista Ben Collins, questo tipo di disinformazione sfrutta in maniera cinica i “vuoti di conoscenza”, che nella sparatorie di massa si verificano durante i primissimi momenti. Tali vuoti vengono di conseguenza colmati con gli attacchi ai “nemici”, e negli ultimi tempi 4chan ha preso ancora più di mira le persone transgender.
La stessa Sam prova a placare le voci. Su Reddit pubblica una foto, in cui la si vede di fronte alla bandiera transgender, con la scritta: “Non sono io, non vivo nemmeno in Texas”. Nei commenti aggiunge di voler vivere in tranquillità “senza essere aggredita ogni volta che esco di casa”.
Nonostante ciò, la teoria continua a girare vorticosamente e viene ripresa da associazioni e persone legate al Partito Repubblicano. Una foto di Sam finisce nella pagina Facebook dei Giovani Conservatori dell’Indiana del Sud (Young Conservatives of Southern Indiana), mentre il deputato repubblicano e trumpiano Paul Gosar – molto vicino a gruppi di estrema destra – scrive su Twitter che l’attentatore è “un clandestino transessuale di sinistra chiamato Salvatore [sic] Ramos”.
Per il resto, evidenzia la giornalista di MSNBC Katelyn Burns, già in altre occasioni dei “bugiardi di destra hanno provato ad attribuire una strage a una persona trans”.
Nel 2018, ad esempio, era successo in relazione alla sparatoria nella sede di YouTube a San Bruno (California) in cui erano rimaste ferite tre persone. Nel 2015, dopo un attacco armato a una clinica di Planned Parenthood in Colorado, una testata di estrema destra aveva riportato la notizia falsa che l’attentatore era registrato come donna nelle liste elettorali.
All’epoca la speculazione era stata presa per buona e rilanciata dal senatore repubblicano Ted Cruz, che si era giustificato dicendo che stava rilevando delle “incongruenze” a livello informativo.
Il punto, sottolinea Sam a NBC News, è che “chi è transfobico ci mette poco a incolpare qualcuno, piuttosto che cercare di capire cos’è successo davvero”.
Quella transfobica non è però l’unica teoria sulla strage di Uvalde. Un’altra, circolata soprattutto su Gab e alcuni canali Telegram di estrema destra, sostiene che l’attentatore sia un immigrato irregolare (in realtà Ramos è nato nello stato del North Dakota).
Un’altra ancora parla di “false flag” (un’operazione sotto falsa bandiera) e “crisis actor” – cioè attori pagati per allestire una messinscena e distrarre le forze dall’ordine, in modo tale da far entrare criminali e sostanze stupefacenti dal confine con il Messico.
In sostanza, il massacro non sarebbe mai avvenuto. E per quanto possa sembrare incredibile, non è la prima volta che girano crudeli fantasie complottiste su eventi di tale gravità.
La persecuzione dei genitori di Sandy Hook
Il peggior massacro in una scuola elementare statunitense è avvenuto quasi dieci anni fa, più precisamente il 14 dicembre del 2012.
Quel giorno il ventenne Adam Lanza fa irruzione dentro la Sandy Hook Elementary School di Sandy Hook (un sobborgo della città di Newtown, nel Connecticut) e uccide 26 persone, tra cui 20 bambini e bambine.
Tra queste c’è Emilie Parker, la figlia di sei anni di Robbie Parker. Il giorno dopo la strage, Parker è il primo familiare a parlare pubblicamente in una conferenza stampa a Newtown: l’uomo è visibilmente sconvolto e teso, e prima di ricordare la figlia fa una mezza risata nervosa.
Quel gesto inconsulto diventa una delle prove centrali delle teorie del complotto sulla sparatoria e viene rilanciata da Alex Jones del sito InfoWars, molti canali complottisti e migliaia di account sui social. Ancora adesso ci sono video su YouTube con titoli del genere: “10 Minutes Of Robby Parker Getting Into Character Before A CNN Interview”.
La spiegazione di quella risata, secondo la vulgata complottista, è la seguente: Parker l’ha fatto perché stava entrando nella parte del “padre affranto”. In realtà, a Sandy Hook sua figlia non è morta – non è morto nessuno. I genitori e i loro figli “deceduti” sono crisis actor assoldati dall’amministrazione Obama per togliere le armi ai “patrioti” e abolire il Secondo Emendamento.
La diffusione delle teorie su Sandy Hook è vertiginosa, così come l’aggressività di chi ci crede. Qualche giorno dopo il massacro, un uomo si reca a Newtown per filmare i luoghi alla ricerca di “prove” del coinvolgimento dei “globalisti” del “Nuovo Ordine Mondiale”; una settimana dopo, il professore James Tracy della Atlantic University (Florida) pubblica un post cospirazionista che gira parecchio; a gennaio, un video di mezz’ora che promette di rivelare “la verità su Sandy Hook” raggiunge dieci milioni di visualizzazioni su YouTube.
Un altro professore universitario, James Fetzer della Università di Minnesota Duluth, pubblica un libro intitolato Nobody Died at Sandy Hook (“Non è morto nessuno a Sandy Hook”) che viene scaricato ben dieci milioni di volte.
L’uomo più ossessionato dalle teorie su Sandy Hook è senza alcun dubbio Wolfgang Halbig, un pensionato di 70 anni che – per una macabra coincidenza – si occupava di sicurezza nelle scuole. Grazie ad Alex Jones di InfoWars, che gli dà un’enorme visibilità e lo segue ovunque con le telecamere del suo programma, riesce a tirare su centinaia di migliaia di dollari per le sue “ricerche” e i viaggi a Newtown (in tutto sono 22).
Le sue richieste sono assurde e raccapriccianti: esige di vedere il contratto della ditta che ha pulito la scuola dopo l’eccidio, pretende di avere i referti autoptici dei bambini e chiede di aprire le bare delle vittime per vedere se dentro ci siano effettivamente i resti. In un’occasione si presenta persino al funerale di otto vittime, sempre accompagnato dalle telecamere di Alex Jones, nella convinzione che un bambino sia ancora vivo.
Tutto ciò, ricorda la giornalista Elizabeth Williamson nel suo recente libro Sandy Hook: An American Tragedy and the Battle for Truth, avviene in una città “completamente traumatizzata”.
I genitori delle vittime, in particolare, subiscono una doppia tragedia: la prima è l’aver perso i propri figli in quella maniera; la seconda è doversi confrontare con quelli che negano la strage, e dunque la morte dei loro figli.
La persecuzione dei complottisti (che si autodefiniscono “Sandy Hook truthers”, cioè i “cercatori della verità” su Sandy Hook) nei confronti dei parenti è martellante e brutale. Non vengono risparmiati nemmeno poliziotti, insegnanti, fotografi, soccorritori e vicini di casa.
Le minacce sono a tutto campo, sia online che nella vita reale. In certi casi, la crudeltà raggiunge vette spaventose. Nel 2014 un uomo della Virginia ruba le targhe commemorative di due vittime, e in seguito telefona ai genitori per dire di farsi una ragione di quel furto: tanto i loro figli non sono mai esistiti.
L’anno successivo, nell’ambito di una maratona a Stratford (Connecticut) per ricordare Victoria Soto – una maestra di 33 anni uccisa nel massacro mentre cercava di proteggere gli alunni – un uomo di New York si avvicina a Jillian Soto, sventolandole in faccia una foto della sorella e urlando che Victoria non è mai morta sul serio.
La battaglia per la memoria delle vittime
Alcuni genitori sono bersagliati più degli altri, perché reagiscono e contrattaccano.
Il più vocale e attivo di questi è Lenny Pozner, padre di Noah (sei anni). Da ascoltatore occasionale del programma di Alex Jones – sì, anche questa è una circostanza a dir poco paradossale – in un primo momento prova a parlare direttamente con i complottisti nei loro gruppi Facebook.
Ma i tentativi, come prevedibile, non sortiscono alcun effetto. Anche perché, a suo dire, le grosse piattaforme social non fanno praticamente nulla per arginare la disinformazione e le falsità sulla strage. Anzi: “Facebook e Twitter sono dei mostri, delle bestie fuori controllo”, dice alla giornalista Williamson.
L’uomo decide così di adire alle vie legali, e riesce a rimuovere molti contenuti che contengono le foto del figlio sfruttando le leggi sul diritto d’autore; quelle immagini, infatti, appartengono a lui e non possono essere usate senza la sua autorizzazione.
La mossa coglie di sorpresa i truther, e le molestie nei suoi confronti aumentano in maniera esponenziale. Pozner è costretto a trasferirsi una dozzina di volte, dal momento che qualcuno riesce sempre a scoprire l’indirizzo di casa e pubblicarlo online.
La battaglia legale però non si esaurisce qui: insieme ad altri familiari, Pozner sporge diverse querele per diffamazione nei confronti delle persone che hanno avuto le responsabilità maggiori nella diffusione delle teorie su Sandy Hook.
Anche in questo caso i risultati non tardano ad arrivare. Nell’ottobre del 2019 Fetzner è ritenuto colpevole di aver diffamato Pozner e viene condannato al pagamento di 450mila dollari a titolo di risarcimento – una cifra che il professore in pensione ritiene “assurda”.
Due anni dopo è il turno di Alex Jones, che viene condannato da un giudice in Texas a risarcire quattro famiglie. Il fondatore di InfoWars offre 120mila dollari a persona, ma la proposta viene rifiutata; l’ammontare dei danni è ben superiore a quella cifra. Nel marzo del 2022, Jones dichiara la bancarotta delle sue tre società (InfoWars inclusa): le famiglie lo accusano di non voler pagare i risarcimenti e di “rimandare l’inevitabile”.
Insomma: le battaglie di Pozner e degli altri genitori hanno avuto successo nel limitare la portata delle teorie su Sandy Hook, seppur a carissimo prezzo personale.
Ma il modello Sandy Hook – formato da quella terrificante commistione tra le bufale sui crisis actor, la persecuzione delle vittime e la spietata negazione della realtà – getta ancora una pesante ombra sul presente.
Dopotutto, le teorie sulle sparatorie di massa agiscono da dispositivi ideologico-politici per deflettere l’attenzione dalle vere cause di queste stragi, che poi sono sempre le solite: la smodata quantità di armi in circolazione negli Stati Uniti, la ridicola facilità con cui ci si può armare, la clamorosa inefficienza della polizia e soprattutto la complicità della classe politica – in particolare quella repubblicana.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Una bella intervista a Elizabeth Williamson su cos’è cambiato (e cosa non è cambiato) tra Sandy Hook e Uvalde (Charlie Warzel, Galaxy Brain)
L’attentatore di Buffalo, Payton Gendron, era in contatto con un ex agente federale; le indagini stanno cercando di capire se quest’ultimo fosse a conoscenza dei propositi dell’assassino fascista (Lou Michel e Dan Herbeck, The Buffalo News)
Come X-Files ha sdoganato la paranoia negli anni Novanta – e come a un certo punto la realtà ha superato la serie, rendendola obsoleta (Jacopo Bulgarini d’Elci, Doppiozero)
Se ti è piaciuta questa puntata, puoi iscriverti a COMPLOTTI! e condividerlo dove vuoi e con chi vuoi. Quelle precedenti sono consultabili nell’archivio.
Mi trovate sempre su Instagram, Twitter e Facebook, oppure rispondendo via mail a questa newsletter.