Cura da cavallo
Come un antiparassitario per animali è diventato l'ennesima cura miracolosa per antivaccinisti e scettici del Covid.
Benvenute e benvenuti alla puntata #29 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Finita la pausa estiva, si ricomincia con un approfondimento su uno dei tanti fantomatici rimedi anti-Covid osteggiati dai “poteri forti” – un antiparassitario per cavalli che sta godendo di grande popolarità negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei.
Prima di iniziare, una comunicazione personale: ho finito e consegnato il libro sulle teorie del complotto pandemiche (e non), e prossimamente annuncerò qui – nonché sui miei canali social – la copertina, la data di uscita e tutto il resto. Questa newsletter dovrebbe inoltre tornare al regime abituale di pubblicazione. A presto!
Farmaci miracolosi
In principio era l’Avigan. Ricordate?
Ci trovavamo nella fase iniziale del primo lockdown, eravamo sotto choc e del coronavirus si sapeva ancora relativamente poco. All’improvviso, a metà marzo del 2020 era esploso un video in cui un cittadino italiano – parlando in strada da Tokyo – decantava le qualità miracolose del farmaco antivirale per l’influenza Favipiravir (il nome commerciale dell’Avigan), prodotto da una controllata della Fujifilm.
Presentandosi come “farmacista” (sebbene in realtà fosse il titolare di un negozio di videogiochi a Roma), l’uomo sosteneva che la maggior parte dei giapponesi fosse guarita dal Covid-19 proprio grazie all’Avigan. Lui stesso aveva contratto la malattia, salvandosi con l’assunzione del farmaco. Perché, chiedeva, in Italia non se ne parlava? Semplice: perché “ce lo stanno nascondendo”; toccava a noi “svegliarci” e richiedere la pozione magica.
La vicenda aveva tenuto banco per diversi giorni, arrivando anche nei talk show attraverso le urla di Vittorio Sgarbi; alcuni presidenti di regione, tra cui Luca Zaia del Veneto, ne esigevano a gran voce la sperimentazione.
Come aveva subito ricordato l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), “ad oggi non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco nel trattamento della malattia da COVID-19.” Le cose non sono cambiate più di tanto nemmeno a un anno e mezzo di distanza: a dicembre del 2020 il ministero della salute giapponese ha detto che la sua efficacia contro il coronavirus “non è chiara”; ad aprile del 2021, Fujifilm ha annunciato l’avvio di un nuovo trial clinico.
Nel frattempo la questione dell’Avigan era stata completamente eclissata dalla mania sull’idrossiclorochina, un farmaco anti-malarico ritenuto efficace contro il Covid-19 – e dunque “ostacolato” dalle autorità sanitarie, dai politici implicati nel “Grande Reset” e da Big Pharma.
Il promotore più celebre è stato senza dubbio l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che in una conferenza stampa di maggio 2020 aveva rivelato di prenderlo “in via preventiva” – trasformandola così in una specie di arma politica da brandire contro i propri avversari.
Naturalmente, quando poi è ammalato di Covid-19 nell’ottobre del 2020, i medici hanno somministrato tutt’altro: il corticosteroide desametasone, l’antivirale Remdesivir (inizialmente progettato per ebola) e gli anticorpi monoclonali sperimentali prodotti da Regeneron.
In base a diversi trial – su tutti Solidarity e Recovery – la comunità scientifica ha poi scoperto che l’idrossiclorochina non serve a nulla contro il coronavirus: non ha mai dato prove di efficacia né come trattamento in fase sintomatica, né come farmaco preventivo. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Ema (l’Agenzia del farmaco europea), il National Institute of Health statunitense e l’Aifa ne hanno pertanto sconsigliato l’impiego.
Arriviamo così all’estate del 2021, dove l’idrossiclorochina è stata affiancata (e in alcuni casi rimpiazzata) dall’antiparassitario ivermectina – un farmaco introdotto negli anni Settanta e usato per eliminare parassiti nei cavalli, nei bovini, negli animali domestici e anche negli esseri umani.
Negli ultimi giorni, il celebre podcaster Joe Rogan ha comunicato ai suoi milioni di follower su Instagram di aver contratto il Covid-19 e di aver subito preso l’ivermectina. Nella settimana precedente, l’ex editor di Breibart ed ex influencer dell’alt-right Milo Yiannopoulos aveva postato delle foto nel suo canale Telegram in cui “curava” l’infezione iniettandosi l’antiparassitario nel braccio.
Oltre a loro, sono migliaia le persone che – soprattutto negli Stati Uniti, ma non mancano i casi anche in Italia – hanno iniziato a farsi prescrivere online il farmaco (su questo ci tornerò più avanti), decantandone sui social network le qualità benefiche. Le richieste per l’ivermectina sono aumentate a tal punto che ormai ci si accontenta anche della versione per gli animali.
Il risultato è che negli Usa, nel solo mese di luglio, le chiamate ai centri antiveleno per l’assunzione errata e sovradosata dell’antiparassitario sono aumentate di cinque volte rispetto al periodo pre-pandemico. Gli effetti collaterali non sono proprio un toccasana: vomito, irritazioni cutanee, cali di pressioni e danni al fegato.
A fine agosto la Food and Drug Administration ha precisato che l’ivermectina non è approvato per il trattamento di Covid-19, e scritto con una certa dose di esasperazione che “non siete un cavallo. Non siete una mucca. Davvero, piantatela.”
Medici golpisti
Dell’antiparassitario come possibile rimedio anti-Covid se ne era parlato già verso la fine del 2020, quando il suo utilizzo improprio era aumentato esponenzialmente in alcuni paesi dell’America latina alle prese con la devastante seconda ondata della pandemia.
Prima ancora, alcuni ricercatori avevano sostenuto che l’ivermectina avesse un buon potenziale. Il loro studio preliminare, tuttavia, era pieno di errori ed è stato ritirato all’inizio di agosto di quest’anno. Secondo un riassunto fatto su Facebook dalla ricercatrice Renata Gili della fondazione Gimbe,
una revisione sistematica della letteratura fatta dalla Cochrane Library (l’eccellenza delle revisioni sistematiche della letteratura, che segue un metodo molto severo e rigoroso, insomma: meglio di così non si trova) dice che al momento le evidenze scientifiche non supportano l’uso dell’ivermectina per il trattamento o la prevenzione della COVID-19 al di fuori di rigorosi studi clinici randomizzati.
Di conseguenza, le maggiori autorità regolatorie e sanitarie internazionali non ne raccomandano la somministrazione.
La storia dell’ivermectina, insomma, è praticamente sovrapponibile a quella dell’Avigan e dell’idrossiclorochina. È il contesto a essere sensibilmente diverso: da un la variante Delta martella forte e a causa nuove ondate; dall’altro ci sono i vaccini approvati finora.
E infatti, il nome di quel farmaco gira in ambienti ben precisi – ossia quelli antivaccinisti, anti-restrizioni e legati alla “medicina alternativa”. Negli Stati Uniti, ha ricostruito un’inchiesta di NBC News, un ruolo di primo piano nella saga dell’ivermectina l’ha ricoperto America’s Frontline Doctors.
Questa associazione di medici, vicina alla destra più conservatrice e agli evangelici repubblicani, si è fatta notare più volte nel corso della pandemia per affermazioni completamente antiscientifiche. Giusto per dare un’idea del livello, una dei suoi membri più noti è la pediatra Stella Immanuel: oltre ad aver glorificato l’idrossiclorochina (venendo per questo retwittata da Trump), ha dichiarato pubblicamente che le cisti ovariche e l’endometriosi sono causate da rapporti sessuali con “demoni” e “streghe”.
La fondatrice del gruppo Simone Gold, invece, è stata arrestata e accusata di svariati reati per aver partecipato all’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021. Ora è a piede libero in attesa del processo, e da mesi sta girando gli Stati Uniti con incontri e conferenze dove rilancia teorie del complotto sulla pandemia e sui vaccini.
A ogni modo, il sito di America’s Frontline Doctors rimanda a sua volta a SpeakWithAnMD (“parla con un medico”), un servizio di telemedicina “trumpiano” a pagamento – il consulto si aggira sui 90 dollari – con cui farsi prescrivere idrossiclorochina o ivermectina.
A causa dei ritardi insorti per il volume di richieste nelle ultime settimane, sui social sono spuntati gruppi dedicati al reperimento del farmaco, nei quali si condividono anche informazioni su come assumerlo e sui dosaggi corretti (cioè quelli per non finire in ospedale).
Temendo il blocco e la rimozione dai social, gli utenti di questi gruppi hanno cominciato a usare parole in codice – riferendosi al proprio “cavallo” invece che a sé stessi.
Un messaggio, riportato da NBC News e tradotto da Il Post, recita ad esempio così:
Mi identifico come cavallo e posso confermare che non ci sono effetti collaterali utilizzando i dosaggi raccomandati dai professionisti, su base settimanale. Mi piace assumere [il farmaco] accompagnato da una marmellata di fragole [siccome il sapore della versione per animali non è il massimo, spesso lo si assume con altri alimenti].
Il mito delle “terapie domiciliari precoci”
Per Imran Ahmed, direttore del Center for Countering Digital Hate, quello dell’ivermectina è soltanto l’ultima freccia nell’arco della disinformazione antivaccinista, la quale si articola su tre assunti: mai fidarsi delle autorità sanitarie; “il Covid non è pericoloso”; “i vaccini sono pericolosi”.
Stringi stringi, l’idea di fondo di questa “narrazione estremista” è che i governi vogliano “imporre” un preparato che nel migliore dei casi non serve a nulla – mentre nei peggiori ha il potenziale di “sterminare” la popolazione.
In questo senso, il vero obiettivo dell’ivermectina è minare la fiducia nella comunità scientifica, portare avanti determinate idee politiche e soprattutto screditare i vaccini: se c’è un rimedio così efficace a portata di mano, per una malattia tranquillamente curabile a casa, perché vaccinarsi?
In fondo, questa è la domanda su cui ruota tutta l’intera questione della “terapia domiciliare precoce”, che non a caso ha fatto presa in paesi in cui la pandemia ha travolto sistemi sanitari pubblici già in affanno per i tagli strutturali e le privatizzazioni (sì, Italia compresa), contribuendo ad aumentare la percezione di distanza tra cittadino e sanità.
Come si legge in un articolo sul sito Biologi per la scienza dedicato alle associazioni italiane (il discorso però vale in generale), il loro apparente punto di forza è che partono da un
presupposto condivisibile, ovvero che a inizio pandemia sia venuta a mancare una adeguata assistenza (anche domiciliare) dei malati e che il momento non ordinario abbia evidenziato un problema strutturale del nostro sistema sanitario (mancanza di medici di base, accentramento in grandi ospedali, etc).
Ma inevitabilmente, proprio perché non esiste una cura risolutiva e accessibile per il Covid-19, si finisce per fare danni veri – come nel caso eclatante di America’s Frontline Doctors, e non solo.
Per il resto, vale ancora adesso che diceva la giornalista Barbara Gallavotti a proposito della vicenda dell’Avigan: “quando si sarà trovato modo per evitare questo contagio, o per guarire, non lo verremo a sapere da uno sconosciuto a passeggio per le strade di una città lontana”.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Una guida ragionata alla galassia “No Green Pass” italiana (Jacopo Di Miceli, VICE Italia)
Lo “Sciamano di QAnon” ha patteggiato la pena nel processo contro di lui per l’assalto al Congresso, e dice di non voler essere più chiamato lo “Sciamano di QAnon” (Marshall Cohen, CNN)
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