L’impero del fossile colpisce ancora
La Cop28 è presieduta da un petroliere mezzo negazionista, e non sorprende che sia diventata una calamita per la disinformazione climatica.
Benvenute e benvenuti alla puntata #66 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie del complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
L’ho già detto in diverse puntate e lo ripeto pure oggi: il fronte più caldo del complottismo è il cambiamento climatico. E lo sarà sempre di più.
Ne stiamo avendo la riprova con la Cop28, il vertice sul clima delle Nazioni Unite che quest’anno è particolarmente controverso. Oltre a essere presieduta da un petroliere, è infestata da chi ha inventato il moderno negazionismo climatico: l’industria petrolifera.
Prima di partire, ricordo sempre che nelle storie del mio profilo Instagram c’è la rassegna stampa aggiornata di Complotti!. Il libro si può acquistare dal sito di minimum fax, in libreria e negli store online.
Petrovertici in petrostati
Ma gli yacht di lusso possono darci una mano nella lotta al cambiamento climatico?
Questa domanda – insensata sotto tutti i punti di vista, dato che gli yacht sono uno dei simboli dell’ingiustizia climatica – è stata realmente al centro di una discussione tenutasi alla Cop28, il vertice delle Nazioni Unite sul clima che dal 30 novembre si sta svolgendo a Dubai dal 30 (finirà il 12 dicembre).
Ora: l’idea degli yacht sostenibili potrebbe essere ottima per uno sketch satirico, se non fossimo nel mezzo di una crisi climatica che minaccia il genere umano. Ma del resto, quel panel riflette molto bene l’assurdità dell’intera Cop28.
Tanto per cominciare, la nazione che ospita il vertice – gli Emirati Arabi Uniti – figura nella lista dei maggiori produttori di petrolio al mondo.
Non a caso, la presenza di lobbisti del settore delle fonti fossili ha raggiunto livelli record. Alla Cop26 di Glasgow (nel 2021) erano 503; alla Cop27 di Sharm el-Sheikh (nel 2022) erano 636; alla Cop28 sono 2456 – un numero praticamente quadruplicato.
Secondo la campagna Kick Big Polluters Out, di cui fanno parte più di 450 organizzazioni non governative, questo esercito di lobbisti ha l’obiettivo di far deragliare i negoziati, evitando che vengano prese misure drastiche per ridurre le emissioni.
Che è lo stesso obiettivo di altri gruppi di pressione – tra cui quelli che rappresentano l’industria della carne – e degli stessi Emirati.
Un’inchiesta della BBC e del Centre for Climate Reporting ha scoperto che la delegazione emiratina vuole sfruttare la Cop28 per stringere accordi commerciali per la vendita di combustibili fossili con almeno 27 paesi.
Gli Emirati puntano anche a intensificare la produzione di petrolio nei prossimi anni, arrivando a oltre 7 miliardi e mezzo di barili. Come ha sottolineato il Guardian, il 90% di questi barili non dovrebbe nemmeno esistere se si vuole rispettare la tabella di marcia stilata dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) per arrivare al net zero – ossia alla neutralità climatica.
Tutto ciò fa a pugni con l’obiettivo primario del vertice, che sarebbe quello di eliminare progressivamente le emissioni per limitare il riscaldamento globale a 1.5 gradi in più rispetto all’era pre-industriale.
Più che un vertice sul clima, insomma, la Cop28 è una specie di Expo dell’industria delle fonti fossili.
La normalizzazione del negazionismo climatico
L’altro enorme problema della Cop28 è il suo presidente, Sultan Al Jaber.
Al Jaber si trova in un oggettivo conflitto di interessi: è infatti l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale; il fondatore di Masdar, un’altra azienda statale che si occupa di energia rinnovabile; nonché il ministro dell’industria e della tecnologia degli Emirati.
Come presidente della Cop28 Al Jaber ha detto di voler essere “inclusivo”: nel senso di includere anche il settore dei combustibili fossili – cioè il suo – nella transizione energetica.
Peccato che non si possa fare, a meno di stravolgere la realtà.
E infatti, durante una conferenza online dello scorso 21 novembre, Al Jaber ha falsamente affermato che la scienza non dice che bisogna eliminare i combustibili (in realtà lo dice eccome).
E non pago, ha pure spiegato che la riduzione di petrolio e gas riporterebbe “il mondo nelle caverne” – un grande classico del negazionismo climatico.
Diversi scienziati hanno criticato le parole di Al Jaber, definendole “incredibilmente preoccupanti”, “al limite del negazionismo climatico” e in contrasto con la posizione ufficiale delle Nazioni Unite.
Ma il fatto stesso che il presidente di turno della Cop abbia detto certe cose evidenzia l’incredibile livello di normalizzazione che hanno ormai raggiunto le teorie negazioniste – e complottiste, di cui avevo già parlato qui – sulla crisi climatica.
Lo conferma anche la rete Climate Action Against Disinformation (CAAD), che riunisce più di 50 ong specializzate sul tema. Nel recente rapporto Deny, Deceive, Delay (Vol. 3), infatti, si legge che non è tanto il volume della disinformazione climatica a preoccupare, quanto la sua natura composita e la capacità di penetrazione mediatica.
In base alla ricerca del CAAD, tra i principali disinformatori figurano attori statali come la Russia e la Cina; le solite compagnie petrolifere; e i vari influencer complottisti che “fanno soldi dicendo che il riscaldamento globale è una bufala”.
L’intreccio tra questi soggetti va dunque a formare un ecosistema “in cui ciascuno ha le proprie motivazioni, ma tutti sono uniti dall’obiettivo di minimizzare il riscaldamento globale”.
E in vista della Cop28, l’ecosistema della disinformazione climatica si è dato parecchio da fare.
Non è (ancora) troppo tardi
Come ha riportato un articolo del New York Times, sulle piattaforme social – e non solo – sono comparsi gli usuali cavalli di battaglia del negazionismo.
Tipo che il cambiamento climatico non è di natura antropica; che il mondo non si sta riscaldando, ma raffreddando; che le catastrofi naturali sono causate da altri fattori, inclusi i raggi laser sparati dal cielo; che la transizione energetica è soltanto un pretesto per imporre “lockdown climatici” e diete a base d’insetti; e così via.
Queste teorie oscillano tra due poli narrativi opposti, ma paradossalmente complementari.
Da un lato il cambiamento climatico non viene descritto come un problema, perché “il clima è sempre cambiato”; dall’altro è invece percepito come un qualcosa di ineluttabile, che sfugge al controllo umano.
In entrambi i casi, la soluzione non cambia – ed è quella di non fare nulla.
Il punto è non si può proprio mantenere lo status quo.
Nel 2022, come ha rilevato l’ultimo rapporto dell’UNEP (il Programma ambientale delle Nazioni Unite) le emissioni hanno raggiunto il volume record di 57,4 miliardi di tonnellate di CO2. E se andiamo avanti di questo passo, il riscaldamento globale medio potrebbe arrivare ben oltre quota 1.5 gradi – generando effetti imprevedibili e catastrofici.
Lo dice pure l’Organizzazione metereologica mondiale: abbiamo due probabilità su tre di superarlo.
Ma come rimarca il giornalista Ferdinando Cotugno nella newsletter A Fuoco, anche in quel caso “non sarebbero tutto perduto”.
Anzitutto, non si tratterebbe di un aumento stabile; quelli si misurano su scale temporali più lunghe. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) prende inoltre in considerazione l’overshoot: cioè “superare la soglia per qualche decennio e poi, per effetto delle politiche di decarbonizzazione, rientrare al di sotto nel giro di qualche altro decennio”.
Infine, ricorda Cotugno, “c’è una cosa che ogni scienziato del clima ripete fino allo sfinimento, ovvero che ogni decimo di grado conta”.
Il futuro climatico, insomma, è nelle nostre mani.
E se è vero che siamo in ritardo – un ritardo causato anche dalla disinformazione e dal negazionismo climatico – la scienza ci dice che non è ancora troppo tardi.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Un paper estremamente dettagliato sull’autoproclamata “Regina del Canada” Romana Didulo e sul suo improbabile - e inquietante – culto (Carmen Celestini e Amarnath Amarasingam)
Esiste una teoria del complotto contro gli occhiali da vista. Giuro: esiste sul serio, e questo lungo articolo spiega perché (Beth Daviess, Center on Terrorism, Extremism, and Counterterrorism)
Tanto per cambiare, Elon Musk ha rilanciato l’ennesima teoria del complotto su X, riuscendo nell’ardua impresa di resuscitare il Pizzagate (Tim Dickinson, Rolling Stone)
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