Chi c’è davvero dietro QAnon
Uno dei più grandi misteri di QAnon rimane l’identità di Q, l’utente anonimo che ha dato vita al movimento. Ora un nuovo documentario potrebbe averlo scoperto.
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Qualche settimana fa c’è stata una grossa novità su QAnon, la più assurda e diffusa teoria del complotto negli Stati Uniti e altrove. Questa volta non ha a che fare con i suoi contenuti – di cui ho parlato più volte sia qui che su Valigia Blu (a proposito: ne approfitto per segnalare che sull’argomento è da poco uscito il saggio di Wu Ming 1 la Q di Qomplotto).
Riguarda invece il più grande mistero di questa incredibile vicenda: l’identità di Q, l’utente anonimo che ha dato il via a tutto.
Dentro la tempesta
Per i seguaci di QAnon, uno dei principali punti di forza della teoria è sempre stata l’anonimato di Q – il misterioso utente che con i suoi “drop” (ossia i messaggi sulle varie imageboard) racconta la battaglia contro la cricca di pedofili satanisti annidata nel Deep State americano.
Q è ritenuto credibile e affidabile perché non se ne conosce l’identità. E il suo potere deriva proprio da questo paradosso.
Nel 2018, quando il movimento non aveva ancora raggiunto l’apice, il giornalista Cullen Hoback decide di provare a “togliere questo potere a Q” e si mette a girare un documentario per scoprire chi c’è veramente dietro QAnon.
Già all’epoca un’inchiesta di NBC News aveva stilato una possibile lista di sospetti, tra cui spiccavano Paul Furber – un programmatore sudafricano che era l’admin della board /CBTS/ (“Calm before the storm”) su 4chan – la coppia di americani Coleman Rogers e Christina Urso, e la youtuber di estrema destra Tracy Diaz, che insieme avevano avuto un ruolo cruciale nella diffusione iniziale della teoria.
A un certo punto Hoback restringe il campo ai gestori dell’unico spazio digitale in cui posta Q: 8chan. Fondato dal 19enne Frederick Brennan nel 2013, l’imageboard è una versione ancora più estrema di 4chan; Brennan pensava che in rete, persino nel luogo che da un decennio era considerato “il buco di culo di Internet”, non ci fosse abbastanza libertà d’espressione.
Nel 2014 il sito viene rilevato da Jim Watkins e dal figlio Ron. Jim è un ex militare che vive nelle Filippine ed è il proprietario della N.T. Technology, una società fondata negli anni Novanta. Il primo atto della sua carriera da imprenditore digitale, giusto per dare un’idea del personaggio, è il lancio del sito porno giapponese “Asian Bikini Bar” – ospitato però su server americani, in modo da aggirare le rigide leggi sulla censura del Giappone.
I Watkins propongono a Brennan, affetto da una grave forma di osteogenesi imperfetta, di lavorare nelle Filippine. Il ragazzo accetta e si trasferisce in un appartamento fornitogli dai suoi nuovi datori di lavoro, ma le cose girano subito nel verso sbagliato: ci sono grosse dispute sulla gestione della imageboard, che nel frattempo è diventato il covo di razzisti, neonazisti e terroristi di estrema destra di tutto il mondo.
Brennan, sempre più disgustato della sua stessa creazione, chiede ai Watkins di intervenire più attivamente nella moderazione dei contenuti più violenti. Quest’ultimi però non fanno nulla; e anzi sembrano incoraggiarli, in una spasmodica ricerca di traffico e controversie.
La rottura definitiva tra il fondatore e i proprietari di 8chan si consuma nel 2018. Da allora, Brennan dichiara guerra ai Watkins e punta a far chiudere il sito. Hoback segue questo conflitto da vicino, muovendosi frequentemente – e a sue spese – tra Stati Uniti, Filippine e Giappone (dove vive Ron Watkins).
La pista che segue il giornalista è la stessa di Brennan: Jim e Ron Watkins sanno chi è Q. E non perché sono gli amministratori di 8chan, ma perché Ron è Q. Il risultato di questa inchiesta durata tre anni è lo strepitoso documentario in sei puntate Q: Into the Storm, uscito su HBO le scorse settimane.
Verso la fine dell’ultimo episodio, Hoback fa una videochiamata con Ron Watkins. “Negli ultimi tre anni praticamente ho fatto un corso di addestramento di intelligence, per insegnare ai normies [parola in slang per indicare le persone “normali”] come si fa il lavoro d’intelligence,” dice Ron. “L’ho fatto da anonimo, ma mai come Q”.
Dopo aver detto questa frase, Watkins ride. In pratica, si è tradito: come chiosa Hoback, “Ron sa di essere Q, e lo so anche io”.
In sostanza, la pistola fumante che tantissime persone stavano cercando era in bella vista davanti a tutti. Per quanto eclatante, la rivelazione di Q: Into the Storm fa luce solo sul periodo che va dal 2018 in poi.
Le vere origini di QAnon, infatti, rimangono ancora adesso avvolte dal mistero.
Un Q, nessun Q, centomila Q
Secondo Paul Furber e altri seguaci, il Q autentico è solo ed esclusivamente quello di 4chan – ossia il luogo in cui è apparso per la prima volta.
Come si legge in un lungo articolo di The Q Origins Project (un progetto che cerca di ricostruire la genesi della teoria del complotto) sul sito Bellingcat,
QAnon è il prodotto ed un’evoluzione della cultura di /pol/ [la board di 4chan dedicata alla politica]: molte delle affermazioni di Q erano già note su /pol/, e lo stesso Q si appropriato di temi e idee già espresse dai suoi predecessori [e da teorie antecedenti].
Una di queste è il cosiddetto “Pizzagate”, l’antenato più diretto di QAnon. Apparsa nel 2016, questa teoria sosteneva che i democratici e i loro sodali di Hollywood fossero dediti ad abusi rituali satanici nello scantinato della pizzeria Comet Ping Pong di Washington D. C. Nell’arco di qualche mese, il termine “Pizzagate” è apparso ben 45.027 volte su /pol/: l’ossessione su presunti pedofili satanisti era pertanto ben radicata su 4chan.
Per quanto riguarda i predecessori, invece, la lista è parecchio nutrita: ci sono FBI Anon, High Level Insider, Mega Anon, White House Insider, CIA Anon, Victory of the Light, Highway Patrolman e Anonymous 5 – sedicenti “talpe” all’interno delle istituzioni americane che condividono “informazioni segrete” con gli anon (gli utenti di 4chan).
Nel gergo di /pol/ questa pratica si chiama “larping”, un verbo derivato da Live action role playing (Larp, ossia gioco di ruolo dal vivo): si impersona cioè una figura, un po’ per trolling e un po’ sul serio. Dal momento che è molto diffusa, i primi messaggi di Q postati nell’ottobre del 2017 sono stati praticamente ignorati; i pochi che li hanno notati si sono lamentati della comparsa dell’ennesimo “larper”.
Eppure, a differenza di tutti gli altri “larper”, Q a un certo punto è esploso. Come mai? Per The Q Origins Project “ha avuto l’idea giusta e lo stile giusto al momento giusto”, riuscendo a impacchettare in una narrazione più o meno coerente – sempre nella logica di /pol/, s’intende – vari filoni spalmati in post singoli.
A ben vedere, QAnon è sopravvissuto per un altro motivo: è riuscito a uscire dai confini di 4chan grazie a Furber & co, che hanno creato subreddit e gruppi di Facebook con i quali sono stati poi raggiunti complottisti mainstream come Alex Jones, influencer di destra e soprattutto i normies pro-Trump.
Il primo Q era sicuramente un assiduo frequentatore - o comunque un gruppo di utenti – di 4chan e /pol/, ma le sue “profezie” sono diventate un “supercomplotto” solo attraverso un enorme sforzo collaborativo. Non a caso, The Q Origins Project l’ha definita una “teoria del complotto partecipativa”.
QAnon senza Q
QAnon, insomma, è il prodotto di subcultura molto specifica di 4chan. Nel gennaio del 2018, tuttavia, succede qualcosa di inaspettato: all’improvviso, Q si sposta sul sito dei “rivali” di 8chan.
In Q: Into the Storm diverse intervistati – tra cui Furber – sostengono che sia avvenuto una specie di colpo di mano di Ron Watkins, che si sarebbe impossessato dell’account. Un sospetto simile l’ha avanzato su Twitter anche il giornalista Dale Beran, autore del saggio It Came from Something Awful.
Di sicuro, da quel momento in poi, Q adotta uno stile molto diverso rispetto ai “drop” su 4chan e rimane attivo solo sul sito dei Watkins – portando loro in dote un aumento vertiginoso del traffico, e quindi dei ricavi pubblicitari.
Quando 8chan viene messo offline dopo la strage suprematista di El Paso del 2019, Q non posta da nessun’altra parte; e quando riappare con il nome di 8kun, Q è l’unico utente che riesce a pubblicare con regolarità nonostante gli enormi problemi tecnici riscontrati nel lancio.
Sorprendentemente, nel corso del 2020 i messaggi di Q si fanno sempre più rari. E dopo le elezioni presidenziali, cessano del tutto: l’ultimo “drop” su 8kun risale all’8 dicembre. Q non ha detto nulla né sull’assalto al Congresso, né sull’inaugurazione di Joe Biden, né sul ritorno di Trump previsto per il 4 marzo del 2021 (mai avvenuto).
Eppure, esattamente com’è successo con le numerose profezie fallite degli ultimi anni (di cui avevo parlato in una precedente puntata), il movimento di QAnon non è stato distrutto dall’assenza di Q. Ormai non ha più bisogno di lui: vive di vita propria, ha un suo ecosistema mediatico, i suoi ideologi e influencer, il suo merchandising, e persino le sue deputate al Congresso.
“Non esiste davvero nulla che possa scalfire la comunità di QAnon, o convincerla di essere nel torto” ha spiegato a Insider Travis View, co-fondatore del podcast QAnon Anonymous. In altre parole: la realtà può sempre essere piegata e adattata al loro sistema di credenze.
Secondo il ricercatore Alexander Reid Ross, inoltre, la teoria del complotto di QAnon rientra in una visione del mondo fortemente paranoica: ogni notizia che può squalificare il movimento, o comunque suscitare una crisi di fede, è vista con sospetto e rimossa dall’orizzonte cognitivo. “Non possono tornare indietro sui loro passi”, afferma Ross, “devono continuare ad andare avanti”.
E infatti, le rivelazioni contenute nel documentario di Cullen Hoback sono state del tutto ignorate. Non hanno avuto il minimo impatto. Di più: non sono nemmeno esistite.
Nel momento in cui usciva l’ultima puntata, dopotutto, c’era qualcosa di molto più importante di cui occuparsi. Tipo il traffico segreto di minorenni sulla nave Ever Given rimasta bloccata nel canale di Suez, che ovviamente era organizzata dai soliti noti: Hillary Clinton e George Soros.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Un nuovo documentario ricostruisce l’assalto al Congresso attraverso i video girati dai manifestanti (Ian Bell, VICE)
Gli assalitori hanno avuto vita facile nell’attaccare il Congresso perché la polizia aveva ricevuto l'ordine di andarci piano (Luke Broadwater, New York Times)
Perché è così difficile lasciare un movimento complottista come QAnon (Siddharth Venkataramakrishnan e Hannah Murphy, Financial Times)
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