Una normale gita turistica
Il revisionismo sull’assalto al Congresso del 6 gennaio è partito fin dai primi istanti, e dopo un anno è più forte che mai.
Benvenute e benvenuti alla puntata #37 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
In questa seconda puntata dello speciale sull’assedio al Congresso parlerò del revisionismo sul 6 gennaio, che è partito – come sempre – da un manipolo di estremisti di destra e ormai ha raggiunto i massimi livelli del partito repubblicano.
Ricordo sempre che sul mio profilo Instagram c’è la rassegna stampa aggiornata di Complotti!. Questa settimana ho avuto il piacere di fare un bilancio di due anni di complottismo pandemico con Jacopo Di Miceli di Osservatorio sul complottismo: la puntata del podcast si può ascoltare su Spotify.
False flag
Il 56enne Alan Hostetter di San Clemente (California) ha vissuto molte vite.
Negli anni Ottanta si arruola nell’esercito e viene spedito nella Germania dell’Ovest; poi, tra gli anni Novanta e i Duemila, lavora come poliziotto a Orange County. Nel 2009 è nominato a capo della polizia di La Habra (sempre in California), ma dei seri problemi alla spina dorsale lo costringono alle dimissioni nel 2010, ponendo fine a un’onorata carriera di 24 anni nelle forze dell’ordine.
Come ha detto lui stesso in un’intervista al sito VoyageLA, in quel periodo “ero un rottame sia da un punto di vista fisico che mentale, ero davvero alla deriva”. Ad averlo salvato, confida, è lo yoga: Hostetter si dà alla meditazione, apre un canale YouTube – in cui posta video idilliaci dove colpisce dei gong parlando di “pace e tranquillità” – e fa lezioni indossando una lunga tunica bianca.
Con l’esplosione della pandemia di Covid-19 cambia tutto ancora una volta. L’ex poliziotto adotta in toto le teorie del complotto sul virus e partecipa alle proteste anti-lockdown di Orange County, diventando in breve uno dei leader del movimento.
Nel corso di una manifestazione a Huntington Beach a maggio del 2020, Hostetter dice che “nemmeno nei miei peggiori incubi mi sono trovato in una situazione del genere, in cui devo difendere i miei compatrioti dai nemici interni; e diamine, è proprio quello che sto facendo”. Alla fine del mese, l’uomo è arrestato dalla polizia di San Clemente per essersi incatenato (insieme ad altre sette persone) alla recinzione intorno al porto, allestita dal comune per evitare assembramenti.
Una volta rilasciato, Hostetter fonda l’associazione non profit American Phoenix Project e continua a partecipare alle proteste contro le restrizioni. Il suo bersaglio principale è il governatore democratico della California Gavin Newsom, che definisce un “tiranno” e un “assassino”. A luglio del 2020 sostiene che, se fossero vivi, i Padri Fondatori lo “trascinerebbero in piazza per i capelli” e lo impiccherebbero senza pensarci su due volte.
Dopo le presidenziali, l’uomo si convince che le elezioni siano state “rubate” e si immerge nella campagna trumpiana “Stop the Steal” (“Ferma il furto”). Il 5 gennaio del 2021 è uno dei principali oratori dell’evento “Rally to Save America”, che si tiene davanti alla Corte Suprema a Washington D. C. “Siamo in guerra in questo paese”, declama dal palco, “e siamo in guerra anche domani”.
Il 6 gennaio, Hostetter posta un video sul suo profilo Instagram mentre si trova nell’Ellisse per ascoltare Trump. Una volta finito il discorso incendiario del 45esimo presidente degli Stati si mette in marcia insieme a migliaia di sostenitori, fermandosi sulle scalinate del Campidoglio; in un altro post sul social, scrive che quello che sta succedendo “è solo l’inizio”.
Cinque mesi più tardi l’FBI lo arresta con svariate accuse. Hostetter decide di autorappresentarsi nel processo, e a dicembre del 2021 deposita un’incredibile mozione difensiva di 82 pagine.
Anzitutto, scrive l’ex poliziotto, quello del 6 gennaio non è stato un assedio ma una “false flag” – cioè un’“operazione sotto falsa bandiera” per incolpare i fan di Trump e screditarli. Anche i poliziotti presenti sul luogo non erano veri poliziotti ma “attori pagati”, e i giornalisti in realtà degli agenti sotto copertura dell’FBI.
Nel documento Hostetter rilancia varie teorie del complotto, da quelle sui brogli elettorali fino alla morte simulata di Ashli Babbit. Alla fine, dichiarandosi non colpevole, afferma che è stato “maestoso” trovarsi in mezzo a quella “folla di patrioti” che ha protestato “pacificamente contro il tentativo comunista e globalista di rovesciare il governo degli Stati Uniti e il popolo di questa grande nazione”.
Nonostante rischi una condanna penale, Hostetter non si è mosso di un millimetro dalle sue convinzioni. E in questo non è affatto isolato: per quanto quei passaggi possano sembrare bislacchi, ormai sono patrimonio comune di una buona fetta della destra americana.
Riscrivere la storia in diretta
Come hanno scritto sulla rivista CTC Sentinel Brian Hughes e Cynthia Miller-Idriss, per certi versi il 6 gennaio è stato “un simbolo unificante, l’esempio di una vittoria sfiorata e ancora possibile”. Non a caso, nei giorni successivi all’assalto, una parte dell’estrema destra ha rivendicato apertamente quello che era successo.
DeAnna Lorraine – una seguace di QAnon che ha coperto la manifestazione come corrispondente del sito complottista InfoWars – ha detto di “non essere mai stata così orgogliosa [come il 6 gennaio]”, aggiungendo che “tutto questo l’hanno fatto dei patrioti americani. E va bene così: è una cosa buona, non una cosa di cui vergognarsi”.
Nello stesso campo, tuttavia, si è fatta strada un’altra interpretazione – quella fatta propria da Hostetter, per l’appunto: il 6 gennaio è stata una gigantesca false flag.
Mentre era in corso l’invasione del Congresso, il conduttore radiofonico di destra Michael D. Brown ha scritto su Twitter che gli assalitori sono “antifascisti o [militanti di] Black Lives Matter travestiti da sostenitori di Trump”.
Qualche minuto più tardi, l’affermazione è stata ripetuta da Todd Herman nel programma radiofonico di Rush Limbaugh (un noto conduttore ultraconservatore, morto il 17 febbraio del 2021): “I sostenitori di Trump non fanno cose del genere. Le fanno gli antifascisti e i militanti Black Lives Matter”.
In breve, la leggenda si è diffusa sui social network ed è stata ripresa da attori come Kevin Sorbo (noto per il ruolo da protagonista nella serie tv Hercules), alcuni host di Fox News e repubblicani vicini a Trump – tra cui il deputato Matt Gaetz, che l’ha ripetuta la sera stessa nell’aula della Camera violata solo poche ora prima.
In sostanza, annota un’analisi del New York Times, “la storia è stata riscritta in diretta”. E ha attecchito non poco, almeno presso una parte dell’elettorato trumpiano: secondo un sondaggio della Suffolk University e di USA Today, almeno la metà del campione intervistato ritiene che l’insurrezione sia stata organizzata dal movimento Antifa – da tempo uno dei più grandi spauracchi della destra trumpiana.
In un grottesco ribaltamento della realtà, persino le figure simboliche dell’assalto sono state risucchiate e stravolte dalle fantasie complottiste: lo “Sciamano” è stato scambiato per un attivista di Black Lives Matter, un antifascista e addirittura il genero della Speaker democratica Nancy Pelosi; Ashli Babbit è stata descritta come “un’attrice” pagata per screditare il movimento pro-Trump, o persino un’attivista antifascista che ha simulato la propria morte.
Col passare dei mesi emerge l’ennesima teoria: l’insurrezione sarebbe stata pianificata dall’FBI per sobillare i sostenitori di Trump e reprimerli senza pietà.
La tesi degli agenti infiltrati è partita dal piccolo sito estremista Revolver News, gestito dal suprematista Darrean Beattie, e in men che non si dica è approdata su Fox News. Nel giugno del 2021 il conduttore Tucker Carlson è arrivato a dire nel suo popolare programma Tucker Carlson Tonight che l’intero assalto “è stato organizzato dall’Fbi” – tesi successivamente ribadita in uno speciale di tre puntate intitolato Patriot Purge (“La purga dei patrioti”).
Seguendo la linea di Carlson, il deputato Matt Gaetz ha fatto sapere di aver chiesto al direttore della polizia federale Christopher Wray quanti “informatori e agenti in borghese” fossero presenti il 6 gennaio; e lo stesso ha fatto la deputata trumpiana e qanonista Marjorie Taylor Greene, anche lei convinta che l’Fbi abbia “orchestrato ed eseguito l’assedio”.
Ogni giorno è il 6 gennaio
Paradossalmente, dunque, un evento generato e alimentato da una lunga serie di teorie del complotto è diventato esso stesso l’oggetto di una valanga di teorie di segno opposto - la maggior parte delle quali tese a minimizzare l’accaduto, o ridimensionare la responsabilità delle persone coinvolte a vario titolo nell’assedio (sono oltre 700 i procedimenti penali aperti dalla giustizia federale degli Usa)
La narrazione del “falso assedio”, sottolinea il sito RightWingWatch, è ormai del tutto predominante. Ed è stata adottata anche da chi all’inizio aveva una posizione diametralmente opposta (come DeAnna Lorraine), e persino da chi è sfuggito al linciaggio come il deputato repubblicano Andrew Clyde – il quale è arrivato a descrivere l’attacco al Campidoglio come “una normale gita turistica”.
La posizione di Clyde – e di altri parlamentari trumpiani – incarna appieno la progressiva radicalizzazione del Partito Repubblicano, che sta spudoratamente avvenendo alla luce del sole.
Invece di prendere le distanze dall’ex presidente e da quello che la politologa Ruth Ben-Ghiat ha definito “un autogolpe”, una buona fetta del partito – per debolezza ideologica, opportunismo o genuina convinzione – ha amplificato le teorie del complotto sull’assedio e garantito una sorta di copertura politica agli assalitori e ai loro emuli.
Dietro a tutto ciò c’è un preciso calcolo, ovviamente. Secondo un sondaggio dell’Università del Massachusetts, l’80% degli elettori repubblicani considera l’assedio una “protesta” del tutto legittima; il 75% è convinto che il paese debba dimenticarsi in fretta dell’accaduto, piuttosto che farci i conti.
E ancora: un altro sondaggio dell’Università del Maryland ha rilevato che il 34% della popolazione pensa che la violenza contro il governo sia talvolta giustificata; una percentuale che sale al 40 presso i repubblicani.
Il processo di estremizzazione del partito non si sviluppa soltanto attraverso le teorie cospirative o i tentativi di boicottare la commissione parlamentare d’inchiesta; si svolge in concreto, tramite atti legislativi. In base a un monitoraggio condotto dal Brennan Center for Justice, sono ben 440 i disegni di legge proposti a livello statale che puntano a non far votare le minoranze, o addirittura a ribaltare risultati elettorali sgraditi.
La situazione appare così compromessa che ben tre ex generali dell’esercito americano hanno scritto sul Washington Post che bisogna prepararsi alla possibilità di un’insurrezione armata dopo le presidenziali del 2024. Anche alcuni politologi parlano apertamente di una “democrazia al collasso” e del rischio di una nuova guerra civile.
Qualche segnale inquietante c’è già adesso. Stando al tracciamento effettuato dalle ong ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project) e Everytown for Gun Safety, nel 2021 le manifestazioni armate pro-Trump sono aumentate rispetto al 2020. Il dato più preoccupante è che l’80% di queste si è svolto nei pressi di edifici pubblici statali e legislativi.
E questo, come avverte il New York Times in un durissimo editoriale, significa solo una cosa: a un anno di distanza dall’assedio, ogni giorno in America è un potenziale 6 gennaio 2021.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Jackson Reffitt ha denunciato e fatto arrestare suo padre Guy per aver assaltato il Congresso: ora, dopo un anno, il 18enne racconta per la prima volta di come quella scelta abbia fatto a pezzi la famiglia (David Gilbert, VICE Italia)
Una dettagliata analisi sull’evoluzione di QAnon dall’assalto in poi (Marc-André Argentino e Sara Aniano, Global Network on Extremism & Technology)
Una panoramica molto approfondita su com’è cambiata l’estrema destra americana dall’assedio del Congresso a oggi (Brandy Zadrozny e Ben Collins, NBC News)
La vera tragedia del 6 gennaio è che non è mai finito: un bel pezzo d’opinione del giornalista Matt Fuller, che era al Campidoglio durante l’assedio (Matt Fuller, The Daily Beast)
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