Ashli Babbit è morta, Ashli Babbit vivrà per sempre
Da gennaio a oggi la manifestante uccisa nell'assedio al Campidoglio è diventata una "martire" per i complottisti di QAnon, per l'estrema destra e anche per Donald Trump.
Benvenute e benvenuti alla puntata #28 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
La scorsa puntata avevo parlato di come Breivik e altri terroristi bianchi sono diventati dei “martiri”, e anche oggi continuerò ad esplorare il filone del martirologio complottista e di estrema destra. Questa volta mi concentro su Ashli Babbit, la manifestante uccisa nel corso dell’assedio al Congresso, e la sua evoluzione post-mortem.
Prima di partire, faccio una comunicazione di servizio: la newsletter si prende una pausa e tornerà a fine agosto. Ci si rivede qui dopo le vacanze!
Niente ci fermerà
È il 5 gennaio del 2021 quando Ashli Babbit, una 35enne veterana dell’aeronautica, twitta che “niente ci fermerà. Possono provarci e riprovarci, ma la tempesta è arrivata e si abbatterà su [Washington] D. C. in meno di 24 ore”.
Il tweet termina con l’espressione “dalle tenebre alla luce” – uno dei principali motti del movimento complottista di QAnon, di cui Babbit è una fervente sostenitrice.
Il suo “risveglio politico”, come ha documentato il sito Bellingcat, è iniziato qualche anno prima. Nel 2018, sempre su Twitter, sosteneva di aver votato Barack Obama e che l’ex presidente avesse fatto “ottime cose”. Poi aveva iniziato a descriversi come una “libertaria”, e da lì la discesa verso le teorie del complotto più estreme si era fatta inarrestabile.
Nel 2019 se la prendeva con la presunta cricca di “pedofili satanisti” al centro delle “rivelazioni” di Q e riteneva genuina la teoria del Pizzagate. Per tutto il 2020, i suoi tweet si erano riempiti di slogan e hashtag riconducibili a QAnon. Dopo le presidenziali di novembre la donna – come tutti i seguaci del movimento – si era convinta che i democratici avessero “rubato” la vittoria a Donald Trump.
Per Babbit, dunque, la manifestazione Stop the steal (“Fermate il furto”) del 6 gennaio non è un semplice evento politico; è il momento del giudizio, in cui bisogna saldare definitivamente i conti con i “traditori” dell’America.
Nel primo pomeriggio di quella giornata, al termine del comizio di Trump, Babbit si riprende con il cellulare mentre marcia con la folla trumpiana verso il Campidoglio. “Ci sono tre milioni di persone qui”, esclama, “quello che si vede qui sul campo è molto diverso, rispetto a quanto dicono i media”.
Qualche minuto dopo – quando ormai gli assalitori hanno sfondato il perimetro di sicurezza e fatto irruzione nell’edificio – la donna è insieme a un gruppo nella Speaker’s Lobby, nei pressi dell’aula dei deputati.
La situazione è tesissima: alcuni parlamentari, evacuati in fretta e furia, si trovano a qualche metro di distanza dai manifestanti. A separarli c’è soltanto una porta, che viene sfondata a pugni e mazzate, e pochissimi agenti della polizia del Campidoglio.
Uno di questi estrae l’arma e la punta contro i manifestanti. Sono le due e tre quarti: nonostante gli avvertimenti, Babbit scavalca una vetrata infranta della porta e viene colpita al collo da una pallottola. La ferita è fatale, e la donna morirà di lì a poco.
Le riprese dell’uccisione di Babbit sono tra le più drammatiche dell’intero assalto al Campidoglio, nonché quelle più inequivocabili. Si vede e si sente proprio tutto: l’agente in posizione di tiro; la pistola; il colpo; e il corpo di Babbit scaraventato all’indietro, avvolto da una bandiera a stelle e strisce con le parole “TRUMP 2020”.
Ma non per tutti è così. Paradossalmente, proprio all’interno dell’ecosistema social-mediatico che ha spinto la donna nel vortice complottista, fin dall’inizio si è fatta strada una bizzarra teoria sull’accaduto che fa più o meno così: Babbit era una “spia” o una “antifascista” mascherata da “patriota”, e ha persino fatto finta di essere morta.
Sul social network Parler, giusto per dare l’idea, l’utente QAnon Patriots ha scritto che “Ashli Babbit è stata un’operazione di false flag, [in realtà] è ancora viva. Solo una piccola parte della sua famiglia lo sa, il resto deve credere che sia morta per mandare avanti l’impostura”.
Un video, circolato sempre su Parler, analizza poi ossessivamente i fotogrammi dello sparo per dimostrare che l’agente non stava puntando la pistola verso alcun manifestante; Babbit pertanto non può essere stata colpita.
La clip in questione è stata ripresa anche dall’avvocato trumpiano Lin Wood, architetto dei fallimentari ricorsi per il riconteggio delle schede, che sul social network ha scritto che “siete stati ingannati ma non preoccupatevi, pecoroni, perché il Deep State lo fa da anni”.
La “George Floyd dei bianchi”
Tuttavia, in parallelo alla narrazione della false flag se n’è sviluppata un’altra: quella secondo cui Ashli Babbit è la vittima innocente di un’“esecuzione” a sangue freddo.
Tra i primi a spingere questa versione c’è stato il fondatore di InfoWars Alex Jones, praticamente in diretta. Prima ancora che venisse diffusa ufficialmente la notizia della morte, Jones ha parlato di “esecuzione” nel corso della sua trasmissione, mandando e rimandando in onda spezzoni non censurati per massimizzare l’indignazione dei suoi spettatori.
Nei circuiti online degli estremisti di destra, invece, Babbit ha assunto lo status di martire dell’“America bianca”. Come ha ricostruito un’analisi del Global Network on Extremism and Technology, la campagna di “canonizzazione” è partita dai Proud Boys – un gruppo di picchiatori suprematisti pesantemente coinvolti nell’assedio al Congresso.
Nei loro canali sui social sono comparsi slogan quali “her name was Ashli Babbitt” (“il suo nome è Ashli Babbit”) e “say her name” (“dite il suo nome”) – espressioni ricalcate su quelle di Black Lives Matter per Breonna Taylor, uccisa dalla polizia in un catastrofico raid antidroga.
L’appropriazione è proseguita anche sui canali del cosiddetto “Terrorgram” (una rete informale di profili e canali neonazisti su Telegram), dove Babbit è stata definita la “George Floyd dei bianchi” nonché una novella Giovanna d’Arco suprematista.
Attorno a questa figura idealizzata si è formato un vasto apparato iconografico. L’immagine più diffusa è quella di una bandiera nera, con al centro il volto stilizzato di Babbit e una goccia di sangue sul collo; dietro di lei c’è il Campidoglio, anch’esso stilizzato e tinto di rosso per simboleggiare il sangue versato il 6 gennaio del 2021; e intorno ci sono quattro stelle, che rappresentano gli altri quattro manifestanti morti quel giorno.
Esiste anche una versione ancora più estrema e antisemita di quella bandiera, in cui campeggia una stella di David sulla cupola del Campidoglio e la scritta “vendetta” sotto il volto di Babbit.
Sul forum TheDonald.win – uno spin-off del vecchio subreddit r/TheDonald (chiuso dalla piattaforma nel 2020) – un utente ha pubblicato un’illustrazione del momento dell’uccisione della donna, modellata sui dipinti della guerra civile americana e accompagnata dalla dicitura “la prima vittima della seconda guerra civile”.
Infine, nell’ambiente accelerazionista e quello che fa capo alla cosiddetta “Siege culture” (dal nome del libro Siege del leader neonazista James Mason), la figura idealizzata di Babbit è usata principalmente a fini di reclutamento.
La sua uccisione simboleggia il martirio della “donna bianca” e quindi dell’intera razza bianca – oppressa da un governo dispotico che va abbattuto. In questo senso, ha detto alla CNN il ricercatore Simon Purdue del Centre for Analysis of the Radical Right, la retorica che circonda Babbit è molto simile a quella formatasi sulla morte di Vicki Weaver.
Quest’ultima era stata uccisa da un cecchino dell’Fbi durante l’assedio al compound di Ruby Ridge (Idaho) nel 1992, dove si era barricato il marito Randy Weaver – un suprematista bianco vicino al cosiddetto “movimento dei Patrioti”, composto da milizie anti-governative di estrema destra.
Purdue ricorda che Vicki Weaver era stata descritta come “la vittima innocente di un’aggressione statale”, e che il suo “martirio” aveva radicalizzato (e ispirato) Timothy McVeigh e Terry Nichols, i responsabili dell’attentato di Oklahoma City del 1995.
Insomma: anche la fine di Babbit, continua il ricercatore, è ormai percepita come “la prova regina che lo stato ha esagerato, e che quindi è necessaria una rivoluzione”.
Chi ha ucciso Ashli Babbit?
L’idealizzazione di Babbit non è però confinata all’estrema destra; anzi, negli ultimi mesi è entrata a far parte dell’arsenale propagandistico del Partito Repubblicano.
Nel maggio del 2021, durante un’udienza parlamentare sull’assedio al Congresso, il deputato dell’Arizona Paul Gosar si è prodotto in un’appassionata difesa degli assalitori e di Babbit, chiedendo all’ex ministro della giustizia Jeffrey Rosen di rivelare il nome dell’agente che ha sparato (l’identità non è ancora stata rivelata).
In un tweet successivo a quell’udienza, Gosar ha ribadito che “una donna, una veterana è stata uccisa nel Campidoglio: la sua famiglia e il paese hanno bisogno di risposte. Dite il suo nome”.
Non è l’unico parlamentare ad aver fatto una simile richiesta. Sempre a maggio, la deputata di QAnon Marjorie Taylor Greene ha preteso “giustizia” sul caso di Babbit – facendo finta di ignorare che l’agente è stato assolto per legittima difesa. Lo stesso ha fatto il popolare conduttore di Fox News Tucker Carlson.
E più recentemente, be’, è arrivato lui: Donald Trump in persona. All’inizio di luglio, in un collegamento telefonico durante la trasmissione della conduttrice Maria Bartiromo su Fox News, l’ex presidente ha detto che Babbit era una “donna meravigliosa, incredibile e innocente” e chiesto il nome dell’agente della polizia del Campidoglio.
In una conferenza stampa tenutasi al suo golf club nel New Jersey – per l’occasione allestito in modo da ricordare la Casa Bianca – Trump ha poi detto di sapere “esattamente” chi ha ucciso Ashli Babbit, riferendosi ad alcune teorie non verificate apparse sui canali Telegram di QAnon e sui forum di destra. L’ex presidente ha inoltre aggiunto che “non c’era alcun motivo” per sparare.
In sostanza, sia le frange della destra più radicale che il Partito Repubblicano (ancora fortemente trumpizzato, nonostante le sconfitte elettorali) stanno continuando a riscrivere la storia dell’assalto del 6 gennaio, nel tentativo di glorificarlo da un lato e normalizzarlo dall’altro.
Come ha scritto il giornalista Matt Lewis sul The Daily Beast, questa strategia punta a trasformare “il tentato rovesciamento di un’elezione in una cosa di cui vantarsi, e gli assalitori in eroi”.
In questo processo revisionista, Ashli Babbit è una figura cruciale: se è “innocente”, infatti, allora i democratici hanno le mani sporche di sangue. Sono loro i colpevoli. Sono loro a doversi difendere.
E proprio per questo motivo, il nome della “martire” continuerà a essere ripetuto negli anni a venire.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Un ragazzo sopravvissuto alla strage di Parkland racconta di come il padre, dopo essere stato risucchiato in QAnon, sia finito col credere che la sparatoria era una “bufala” e il figlio un “attore” (David Gilbert, VICE)
Una dettagliata analisi di come le milizie statunitensi di estrema destra siano cambiate dall’assedio del Congresso a oggi (Avani Yadad e Jared Holt, DFRLab)
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