L’ultima negazionista
È morta a 96 anni la negazionista Ursula Haverbeck, che recentemente era diventata la paladina dei nuovi antisemiti sui social.
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Il negazionismo dell’Olocausto è uno dei fenomeni più ripugnanti e inquietanti della nostra contemporaneità. È una cosa che semplicemente non dovrebbe esistere; eppure, esiste eccome. Specialmente su X, che dopo l’acquisto di Elon Musk è diventato il paradiso degli antisemiti. Prendendo spunto dalla morte della negazionista Ursula Haverbeck, oggi farò una panoramica su questo tema.
Prima di partire, ricordo che è uscito il mio ultimo saggio Le prime gocce della tempesta. Si può acquistare nelle librerie (quelle indipendenti sono sempre da preferire) e nei negozi online. Sul mio profilo Instagram trovate una rassegna stampa aggiornata e le date delle presentazioni, che aggiorno man mano.
La nonna nazi
Il 20 novembre del 2024 è morta la più longeva negazionista della Shoah in circolazione: la 96enne Ursula Haverbeck.
In un certo senso, la donna tedesca era l’ultima genuinamente nazista (e non neonazista) rimasta in vita.
Oltre ad aver aderito convintamente alla dittatura hitleriana, non ha mai rinnegato la sua fede nel Terzo Reich. Anzi: l’ha coltivata fino in fondo insieme al marito, l’ex ufficiale delle SS Werner Georg Haverbeck.
Come tanti altri nazisti impenitenti – hanno ricostruito Francesca Capoccia su Facta e Valerio Renzi su S’è destra – dopo la Seconda guerra mondiale la coppia si è adeguata alla vita borghese stabilendosi a Vlotho, una piccola cittadina nella Renania Settentrionale-Vestfalia.
All’inizio degli anni Sessanta i coniugi Haverbeck fondano il Collegium Humanum, una specie di accademia che mescola ecofascismo, antroposofia, discipline del movimento proto-nazista Völkisch e religioni alternative.
Negli anni Ottanta il Collegium svolta definitivamente a destra, e non fa più nemmeno finta di occuparsi di ecologia o New Age. Gli Haverbeck si agganciano infatti al nascente movimento dei bonehead di estrema destra e stringono legami con i neonazisti del Partito Nazionaldemocratico di Germania (NPD).
Nel 1999 Ursula Haverbeck rimane vedova e inizia ufficialmente la sua carriera da negazionista dell’Olocausto, che nel frattempo è diventato un reato punibile ai sensi del codice penale tedesco.
Insieme all’avvocato neonazista Horst Mahler fonda la “Società per la riabilitazione dei perseguitati per la confutazione dell'Olocausto” (che sarà dichiarata fuorilegge nel 2008) e si mette a diffondere tesi negazioniste in articoli e interviste.
Per la donna, giusto per fare qualche esempio, “l’Olocausto è la più grande e longeva menzogna della storia”; mentre “Auschwitz non era un campo di sterminio, ma un campo di lavoro”.
Le condanne fioccano una dopo l’altra, facendole guadagnare il nomignolo di “nonna nazi”.
La prima è del 2004, ma viene commutata in una multa di circa cinquemila euro. Altre arrivano nel 2007 e nel 2009, dopo che Haverbeck aveva insultato Charlotte Knobloch, la presidente del Consiglio centrale ebraico in Germania.
Nel 2015 è condannata a dieci mesi di reclusione, e l’anno successivo si prende un’altra condanna alla stessa pena. Sempre nel 2016, il tribunale di Verden la condanna a due anni e mezzo di carcere. L’ultimo procedimento contro di lei si conclude nel giugno del 2024 ad Amburgo, dove riceve l’ennesima condanna a 16 mesi.
Le sentenze contro di lei sono spesso accompagnate dai giudizi sprezzanti e desolati dei magistrati. Uno di questi l’ha definita “una causa persa”, dicendo che “è riprovevole che questa donna, ancora parecchio attiva per la sua età, utilizzi le sue energie per propagare tesi che fanno accapponare la pelle”.
Infilare la lama nella screpolatura
In un certo senso, la storia di Haverbeck è la storia del negazionismo contemporaneo.
Come ha ricostruito la semiologa Valentina Pisanty nel saggio L’irritante questione delle camere a gas, i primi negazionisti compaiono già nell’immediato dopoguerra – soprattutto in Francia e negli Stati Uniti.
Si tratta però di persone isolate che nessuno prende veramente sul serio. Per decenni, il negazionismo stesso rimane segregato nei circuiti della destra radicale e ai margini della cultura europea.
Lo scenario cambia radicalmente verso la fine degli anni Settanta, grazie al caso di Robert Faurisson. Nel 1978 lo scrittore francese bombarda le redazioni dei giornali con le sue missive negazioniste – in cui, tra le varie cose, sostiene che le camere a gas non siano mai esistite – e riesce a far parlare di sé, guadagnando addirittura il sostegno di diversi intellettuali di sinistra (tra cui Noam Chomsky) in nome della libertà d’espressione.
La polemica travalica i confini della Francia, e da quel momento in poi il negazionismo si afferma come “fenomeno sociale mediaticamente visibile”.
Uno dopo l’altro, gli autori negazionisti sostengono che la Shoah è un’invenzione della propaganda alleata di matrice sionista, creata ad arte per estorcere riparazioni di guerra alla Germania, alimentare il senso di colpa dell’Occidente e favorire lo stato di Israele.
Ponendosi come il contraltare degli storici “sterminazionisti” (ossia gli storici veri), Faurisson e i suoi tanti epigoni – tra cui l’italiano Carlo Mattogno – contestano l’esistenza del progetto nazista di sterminio degli ebrei ignorando le prove, travisando documenti, screditando i testimoni, diffondendo velenosi dubbi e mettendo in circolo teorie del complotto antisemite.
Lo fanno però in maniera molto subdola e infida, dando alle loro pubblicazioni un’apparenza di “neutralità ideologica” e “rigore scientifico”.
Riescono pure, continua Pisanty, a “camuffare le tesi dei nazisti con argomenti antimperialisti, anarcoidi e vittimistici che ne allargarono il bacino di utenza, confondendo i ruoli e i piani del discorso”.
Il loro metodo è mirabilmente riassunto da Primo Levi in un articolo del 1979: “Trovare una screpolatura, infilarci una lama e far leva; non si sa mai, potrebbe anche crollare l’edificio, per quanto robusto”.
Negli anni Ottanta e Novanta, il negazionismo raggiunge il picco proprio perché impara a sfruttare a proprio vantaggio il sistema dei media e – nemmeno troppo paradossalmente – le leggi che lo reprimono.
Nel saggio I guardiani della memoria, Pisanty spiega che i negazionisti da un lato fanno leva “sulle reazioni di ripulsa che i loro discorsi generano”, mentre dall’altro invocano “i più alti principi democratici per deviare i contraccolpi delle loro provocazioni”.
Così facendo il piano discussione viene spostato dall’antisemitismo (il motore primario delle loro tesi) a quello della libertà d’espressione, e dunque alla censura a cui sono sottoposti.
Gli scandali mediatici, i processi e le condanne penali consentono così ai negazionisti – annota la semiologa – di appropriarsi del “ruolo immeritatissimo di eretici oppressi da un’ortodossia storiografica gelosa dei propri assiomi”.
Santa Ursula
La vicenda di Ursula Haverbeck non solo ha seguito alla lettera questa dinamica, ma l’ha traslata nel mondo dei social network – in particolare su X, dov’è diventata la paladina dei nuovi antisemiti.
Prima della sua morte, l’influencer misogino britannico Tristan Tate (fratello del più noto Andrew Tate) ha scritto sulla piattaforma di Elon Musk che “questa donna non dovrebbe essere perseguita per aver espresso un’opinione”, aggiungendo che “se vogliamo processarla e condannarla, allora la corte e i procuratori che si occupano del caso dovrebbero avere la sua stessa età. Se uno non era lì a quei tempi non può emettere una sentenza di condanna”.
Un altro influencer di estrema destra, Jake Shields, si è chiesto provocatoriamente su X: “Perché gli storici devono finire in galera se mettono in discussione i numeri dell’Olocausto? La nostra concezione della storia è sempre in evoluzione”.
Dopo la scomparsa di Haverbeck, lo stesso Shields ha elogiato la donna dicendo che “il suo crimine è stato quello di raccontare l’Olocausto in modo diverso da come ha fatto Hollywood”.
Un altro utente ha falsamente affermato che “è morta in prigione per non aver rinnegato le sue idee”, mentre altri hanno pubblicato alcune foto della cosplayer “Cecily Amanda Forrell” in divisa nazista spacciandole per la donna da giovane.
Non sono poi mancati gli omaggi nel mondo fisico. A Berlino è comparso un murale in suo onore, mentre ad Alicante e Barcellona (in Spagna) i militanti del movimento neonazista Devenir Europeo hanno affisso dei volantini commemorativi.
Qualcuno ha poi realizzato un quadro che la raffigura come un’icona religiosa, con il Sonnenrad (sole nero) dietro la testa a mo’ di aureola.
Anche per Haverbeck, insomma, è partito il processo di canonizzazione digitale che contraddistingue la propaganda dell’estrema destra moderna (e di cui avevo parlato in questa puntata).
Come hanno spiegato Ari Ben Am e Gabriel Weimann, autori del paper Fabricated Martyrs: The Warrior-Saint Icons of Far-Right Terrorism, il concetto di martirio fornisce “un incentivo ideologico, religioso e talvolta materiale a unirsi a una determinata organizzazione”.
Essere pronti a morire per propagare le proprie idee è pertanto “fondamentale per quei gruppi che spesso non hanno altri mezzi per spingere i propri membri ad agire pubblicamente”.
La beatificazione diventa dunque una forma di “giustificazione morale per l’estrema destra simile a quella del primo cristianesimo: il ‘martire’ o il ‘santo’ è qualcuno che viene disprezzato in vita, ma poi è venerato” perché ha indicato la retta via – e in quanto tale è una figura che ispira e spinge all’emulazione.
Questa operazione permette inoltre di ribaltare la realtà.
La “santa” Haverbeck non è più una feroce negazionista nazista, ma una martire della libertà d’espressione.
E qui, sottolinea Pisanty, il cortocircuito storico non potrebbe essere più clamoroso e urticante: al grido di “le idee non si censurano”, infatti, si riabilitano proprio quelli che bruciavano i libri in piazza.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Su Facebook stanno andando forte delle specie di fotoromanzi creati con l’IA che alimentano falsi miti su Elon Musk (Andrea Zitelli, Facta)
In Romania sta succedendo di tutto: il primo turno delle elezioni presidenziali è stato annullato per “interferenze russe”, che sarebbero avvenute principalmente su TikTok per favorire il candidato di estrema destra Călin Georgescu (Pieter Haeck, Carmen Paun, Laurens Cerulus e Seb Starcevic, Politico)
Dopo aver messo un antivaccinista alla sanità, Trump vuole piazzare alla guida dell’FBI un complottista che appoggia QAnon (David Corn, Mother Jones)
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