Trump contro i mulini a vento
E non in senso metaforico: il presidente degli Stati Uniti ce l’ha a morte con le turbine eoliche, un’ossessione in linea con il suo negazionismo climatico.
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Salvo clamorosi sviluppi legati all’attualità, questa sarà l’ultima uscita prima della pausa estiva: ci risentiamo a settembre!
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Lo psichiatra delle balene
Tra le ossessioni di Donald Trump – e sono davvero tante – ce n’è una particolarmente bislacca e al tempo stesso preoccupante: quella contro le pale eoliche, che lui continua a chiamare windmills (“mulini a vento”).
Da circa 15 anni il presidente degli Stati Uniti non perde occasione di fare polemica contro di esse. Per lui, infatti, la questione è personale.
L’ostilità è cominciata nel 2011, quando aveva intentato una causa legale (poi persa) per chiedere la rimozione di 11 turbine eoliche visibili dal suo campo da golf di Aberdeenshire, in Scozia.
Trump le aveva definite delle “mostruosità” che uccidono gli uccelli, fanno rumore e rovinano il paesaggio.
Se la Scozia avesse continuato a costruirne, aveva aggiunto, sarebbe sicuramente finita in bancarotta: nessuno vuole visitare un paese con così tante pale eoliche.
Quando gli era stato chiesto su quali prove avesse basato questa valutazione, Trump aveva risposto con la sua consueta modestia: “essendo uno dei più grandi esperti di turismo al mondo, la prova sono io”.
Da allora non si è più fermato.
Quella eolica, ha detto, è “la peggior e la più costosa forma di energia” (in realtà è molto più economica dei combustibili fossili) e dunque i “mulini a vento” andrebbero vietati del tutto.
Nel 2019 aveva suggerito – senza alcuna evidenza – che provocano il cancro e sterminano gli uccelli, i quali ci sbattono contro in numeri record (a volte succede, ma muoiono molto di più per l’impatto con edifici e veicoli o per altre ragioni antropiche).
Durante l’ultima campagna elettorale ha spiegato a Joe Rogan che le turbine eoliche fanno letteralmente “impazzire le balene” – una cosa ovviamente non vera, come ha stabilito la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti.
Ma siccome lui ha a cuore la salute degli animali, ha aggiunto nel podcast, vorrebbe diventare uno “psichiatra delle balene” e curarle da questa terribile afflizione.
Alla fine dello scorso luglio Trump ha fatto una visita ufficiale in Scozia. E com’era prevedibile, non appena è uscito dall’aereo ha iniziato a martellare sulle turbine eoliche.
“Ci sono questi mulini a vento dappertutto che rovinano questi bellissimi campi e queste valli e uccidono gli uccelli”, ha detto ai cronisti, “e se sono nell’oceano, rovinano pure quello”.
Poi ha rincarato la dose in vari incontri ufficiali, chiamandole dei “mostri orribili” che si rompono dopo pochi anni, non sono riciclabili e sono proprio “una truffa”.
Per questi motivi – tutti falsi e imprecisi – l’Unione Europea dovrebbe sbarazzarsi sull’energia eolica e buttarsi convintamente sulle care vecchie fonti fossili.
Dovrebbe insomma l’esempio degli Stati Uniti, che hanno lanciato una guerra senza precedenti contro le fonti rinnovabili.
Il neo-negazionismo climatico al potere
Tra lo smantellamento dell’Inflation Reduction Act di Biden e l’approvazione della “Big, Beautiful Bill”, ha sottolineato il giornalista Oliver Milman sul Guardian, “centinaia di migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari di investimenti in energia pulita e impianti per auto elettriche sono destinati ad andare persi”.
A causa della diminuzione dell’approvvigionamento di energia rinnovabile a basso costo, continua, “si prevede che le bollette elettriche delle famiglie americane aumenteranno”.
Le aziende di servizi pubblici dovranno inoltre ricorrere più massicciamente al gas e al carbone, che emetteranno 7 miliardi di tonnellate di carbonio in più entro il 2030.
L’IPCC e la comunità scientifica, come sappiamo, ribadiscono in tutte le salse che bisogna eliminare rapidamente le emissioni per evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico.
Ma Trump – e pure questo lo sappiamo fin troppo bene – non crede al cambiamento climatico, o comunque pensa che non sia un problema.
O peggio ancora: anche se pensa che sia un problema, ritiene che sia comunque meglio trivellare a tutto spiano per far contenti i suoi amici petrolieri.
Questa sua fissazione è ampiamente condivisa da altri membri della sua amministrazione, e sta contagiando anche le agenzie federali che dovrebbero contrastare il fenomeno.
Sempre verso la fine di luglio, il Dipartimento dell’energia ha pubblicato un rapporto in cui – tra le varie cose – si legge che il livello dei mari non si sta alzando più di tanto, che pompare più CO2 nell’atmosfera fa bene alle piante, e che i modelli climatici sono troppo esagerati e catastrofisti.
Come hanno notato vari articoli, si tratta di posizioni contrarie alla semplice evidenza e allo schiacciante consenso scientifico sul tema.
Non a caso il rapporto è stato compilato in fretta e furia (cioè in poco più di un mese) da cinque scienziati “scettici”, o più propriamente neo-negazionisti: nel senso che non negano esplicitamente la crisi climatica e nemmeno le sue cause, ma la minimizzano e ridimensionano.
E soprattutto, liquidano le energie rinnovabili come qualcosa di cui non abbiamo bisogno, se non addirittura dannoso e controproducente.
In sostanza, dicono questi scienziati, possiamo continuare ad andare avanti come se nulla fosse.
Drill, baby, drill come se non ci fosse un domani, per l’appunto.
Come ha detto al New York Times il professore Dave White, direttore del Global Institute of Sustainability and Innovation all’università dell’Arizona, “questo è un attacco alla scienza coordinato e su vasta scala: c’era già ai tempi della prima amministrazione, ma nella seconda è molto più esplicito”.
La disinformazione aggrava la crisi climatica
A tutto ciò si aggiunge la disinformazione climatica dal basso – quella alimentata dalla base MAGA a forza di teorie del complotto sulle scie chimiche, sui raggi laser spaziali sparati dai Rothschild, sulle antiche civiltà scomparse o su fantomatiche armi di geoingegneria.
La devastante alluvione in Texas di inizio luglio, che ha causato oltre 130 morti, le ha rimesse in circolo praticamente tutte quante.
Cogliendo la palla al balzo, la deputata ultratrumpiana Marjorie Taylor Greene ha annunciato di aver presentato una proposta di legge per mettere al bando “l'iniezione, il rilascio o la dispersione di sostanze chimiche o sostanze nell'atmosfera con l'esplicito scopo di alterare il tempo, la temperatura, il clima o l'intensità della luce solare”.
Il disegno è simile a una norma anti-scie chimiche (perché di questo si tratta) da poco approvata in Florida, uno stato dove non è in corso alcuna “modificazione climatica”.
Ma poco importa: quello che conta è dare l’impressione di occuparsi di ambiente e inquinamento, senza però affrontare il cambiamento climatico.
Il punto cruciale, evidenziato in un recente rapporto dell’International Panel on the Information Environment (IPIE), è che questo tipo di disinformazione rischia di trasformare la crisi climatica in una catastrofe.
Nel testo si mette nero su bianco che
Le informazioni fuorvianti hanno minato la fiducia dell'opinione pubblica nella scienza del clima e in altre istituzioni. Questa crisi di integrità delle informazioni sta intensificando e aggravando la crisi climatica.
Oltre a politici e complottisti (e politici complottisti), il rapporto punta il dito contro le multinazionali del fossile.
Per i ricercatori, quest’ultime hanno perpetrato “un doppio inganno”: da un lato hanno negato a lungo l’esistenza del cambiamento climatico, foraggiando studi fraudolenti e trascinando in tribunale gli attivisti climatici; dall’altro si sono messe a fare greenwashing nel tentativo di dipingersi come imprese socialmente ed ecologicamente responsabili.
Queste forme di neo-negazionismo rappresentano dunque un “enorme problema”, come lo definisce il professore Klaus Jensen dell’Università di Copenhagen, uno dei co-autori della ricerca.
“Se non abbiamo le informazioni giuste, come possiamo votare per le cause e i politici giusti? E come potranno i politici tradurre le prove evidenti [della crisi climatica] in azioni concrete?” si è chiesto in un’intervista al Guardian.
Purtroppo, ha chiosato, “credo che [i disinformatori in malafede] siano ancora molto, molto attivi e probabilmente ora hanno preso il sopravvento”.
E a tal proposito, la lotta di Donald Trump contro i mulini a vento potrebbe non essere così vana o insensata come quella di Don Chisciotte della Mancia.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
La polizia tedesca ha arrestato tre Reichsbürger che stavano pianificando un assedio al Parlamento (Richard Connor, Deutsche Welle)
Il governo italiano ha nominato due antivaccinisti nel comitato tecnico consultivo per le politiche vaccinali (Roberta Villa, Domani)
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Dispiace dirlo, ma Trump ha ragione, poverino i mulini a vento, facendo girare le pale gli mandano fuori trattoria le palline. Però non sa quanto le fa girare a noi. In tv quando parlano di questo personaggio ne parlano come di uno statista, una volta quando si era meno politicamente corretti , si sarebbe detto Deficienza mentale.
Il paradosso è che Trump usa lo stesso schema che ogni bravo marketer conosce: scegliere un nemico, semplificare il messaggio e ripeterlo all’infinito.
Solo che invece di vendere un prodotto, vende disinformazione.
E funziona perché le narrazioni emotive battono sempre i dati.
Se da un lato questo è devastante per il clima, dall’altro ci ricorda che chi comunica in modo onesto e basato sull’evidenza deve imparare a farlo con la stessa forza narrativa.
Se non raccontiamo noi la verità con chiarezza e coraggio, lo faranno i complottisti con fantasia e bugie.