I negazionisti della carestia
La propaganda israeliana sta diffondendo odiose teorie del complotto per negare la carestia nella Striscia di Gaza.
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I ristoranti a Gaza sono pieni
Per la prima volta un organismo internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite ha sancito che nella Striscia di Gaza è in corso una carestia.
In un rapporto di 59 pagine pubblicato il 22 agosto del 2025, la Integrated Food Security Phase Classification (IPC, Classificazione Integrata delle Fasi dell'Insicurezza Alimentare) ha messo nero su bianco che la carestia è “interamente causata” da Israele.
Al momento coinvolge soprattutto Gaza City e dintorni, ma si sta “diffondendo rapidamente”.
Com’era scontatissimo, Israele ha respinto con forza la valutazione dell’IPC dicendo che si basa su “informazioni parziali provenienti da Hamas”. Il Cogat, l’agenzia del ministro della difesa israeliano che coordina gli aiuti umanitari, ha parlato di una “falsa campagna di carestia” orchestrata sempre da Hamas.
Per la propaganda israeliana, insomma, non c’è alcuna carestia a Gaza.
Al contrario: c’è un’abbondanza di cibo e bevande, testimoniata dal fatto che i ristoranti e i bar sarebbero pieni.
Questa narrazione è in voga da alcune settimane sui social network, in particolare su X e Telegram.
A promuoverla sotto l’hashtag #TheGazaYouDontSee (“La Gaza che non vedete”) sono sia gli account ufficiali di Israele che alcuni account filo-israeliani seguiti da decine di migliaia di persone.
Il più attivo è indubbiamente “Gazawood”, che prende il nome da un gioco di parole tra Gaza e Hollywood.
L’account in questione pubblica quotidianamente video e storie presi dai profili di bar e locali nella Striscia di Gaza, per dimostrare che non c’è alcuna catastrofe umanitaria.
Spesso e volentieri i post sono accompagnati da didascalie sarcastiche, volte a denunciare l’ipocrisia dei palestinesi e la malafede dei media occidentali che amplificano l’impostura.
In diversi casi, come ha rilevato un articolo di France24, l’account ha però rilanciato clip di locali che nel frattempo hanno dovuto chiudere a causa della penuria di materia prime o del loro costo eccessivo a causa dell’inflazione.
In generale, poi, i locali che rimangono aperti lavorano in condizioni proibitive.
Mohammed Shabana, proprietario dell’Athar Cafè a Gaza City, ha spiegato a France 24 che “anche nelle condizioni più difficili cerchiamo di presentarci in modo dignitoso e rispettabile” sui social.
Tuttavia, ha aggiunto, “questo non significa che vada tutto bene o che ci sia tanto cibo a disposizione. Quello che appare nei video non riflette lo sforzo e la fatica necessaria a tenere in piedi l’attività”.
La mera presenza di attività di ristoro, inoltre, non è in contraddizione con lo stato di carestia.
Secondo la metodologia dell’IPC si può parlare di carestia in una certa area quando il 20 per cento delle famiglie si trovano in condizioni di estrema carenza di cibo; quando il 30 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta; e quando almeno due persone adulte ogni 10mila muoiono ogni giorno di fame.
Qualche cornetto, dei caffè ghiacciati o dei barattoli di Nutella non sono di certo sufficienti a sfamare una popolazione allo stremo.
Gli influencer di “Pallywood”
Quella portata avanti da “Gazawood” e account analoghi è una campagna estremamente subdola, che utilizza video reali ma li travisa e decontestualizza per far leva sull’emotività e seminare dubbi velenosi.
Non è un caso: dietro all’account ci sono dei professionisti della disinformazione.
Stando un’inchiesta del sito Forbidden Stories e di varie ong, tra cui le israeliane Fake Reporter e The Seventh Eye, “Gazawood” è gestito dallo scrittore ultraortodosso Idan Knochen e dallo storico statunitense Richard Landes.
Quest’ultimo è noto per aver coniato la teoria del complotto di “Pallywood” (anch’essa nata da una crasi tra Palestina e Hollywood), di cui avevo parlato nella puntata #64.
Secondo Landes, dalla Seconda Intifada in poi i palestinesi metterebbero sistematicamente in scena la propria morte per ingannare l’opinione pubblica e screditare lo stato di Israele.
In altre parole, tutto ciò che proviene dalla Striscia di Gaza o dalla Cisgiordania non può essere mai creduto.
Attraverso teorie come “Pallywood”, insomma, si può distorcere la realtà in maniera davvero spudorata.
Ed è proprio per questo che la propaganda israeliana vi ricorre così di frequente: si tratta dell’arma mediatica perfetta per negare l’evidenza e screditare le vittime.
Negli ultimi giorni, la campagna di disinformazione si è avvalsa anche dell’apporto di alcuni influencer reclutati ad hoc.
Il quotidiano Haaretz ha riportato che alla fine di agosto una decina di content creator statunitensi e israeliani sono stati invitati nella Striscia di Gaza per “contrastare la campagna di Hamas sulla falsa carestia”.
Gli influencer in questione – tutti di orientamento MAGA – hanno mostrato i container di aiuti alimentari nei centri di raccolta gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, sostenendo che se non vengono distribuiti è colpa delle Nazioni Unite e di Hamas.
In realtà, com’è ormai universalmente accertato, i centri della GHF sono pochi e non sono affatto sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare dei gazawi.
La stessa ong, del resto, è stata creata da Israele per smantellare la rete di aiuti umanitari gestita dall’Onu e da centinaia di associazioni internazionali.
Il risultato è che quei centri sono delle trappole mortali che hanno causato migliaia di vittime, rimaste schiacciate nella calca o colpite dalle pallottole dell’esercito israeliano e dei mercenari statunitensi.
Silenziare la stampa
L’ultimo tassello del negazionismo israeliano sulla carestia è rappresentato dall’attacco al giornalismo.
Se da un lato i reporter internazionali non possono entrare nella Striscia dall’inizio dell’assedio, dall’altro è in corso una feroce delegittimazione dei giornalisti palestinesi che sfocia sistematicamente nell’omicidio mirato.
Stando al Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), dall’ottobre del 2023 a oggi sono quasi duecento i cronisti palestinesi uccisi mentre lavoravano. Altre stime arrivano a più di 270.
Solo nelle ultime due settimane ne sono stati ammazzati almeno undici: cinque nel bombardamento dell’ospedale Nasser di Khan Younis del 25 agosto; e altri sei nell’attacco aereo fuori dall'ospedale Al-Shifa a Gaza City del 10 agosto.
Tra quest’ultimi c’era Anas al-Sharif, corrispondente di Al Jazeera nonché uno dei più noti giornalisti palestinesi.
La sua uccisione è stata esplicitamente rivendicata dall’esercito israeliano, che l’ha giustificata dicendo che al-Sharif era un “terrorista di Hamas” travestito da giornalista.
Si tratta di una calunnia, ovviamente, che però segue un preciso modus operandi.
Un’inchiesta delle testate israeliane +972 e Local Call ha infatti rivelato l’esistenza di un’unità speciale dell’esercito chiamata “cellula di legittimazione”, incaricata di gettare fango sui giornalisti palestinesi per “rafforzare l’immagine di Israele nei media internazionali”.
Una fonte dell’intelligence israeliana sentita dal giornalista israeliano Yuval Abraham, co-autore del documentario vincitore del premio Oscar No Other Land, ha spiegato così il funzionamento dell’unità:
Se i media internazionali parlano di Israele che uccide giornalisti innocenti, allora si fa immediatamente pressione per trovare un giornalista che potrebbe non essere così innocente, come se questo rendesse in qualche modo accettabile l'uccisione degli altri 20.
Ai membri della “cellula”, prosegue Abraham, è stato detto che “il loro lavoro era fondamentale per consentire a Israele di prolungare la guerra”.
I media, infatti, sono considerati un’estensione del campo di battaglia; e i giornalisti non allineati alla propaganda israeliana – ossia tutti quelli che raccontano ciò che vedono con i loro occhi – degli obiettivi militari.
Come ha scritto il giornalista palestinese Ali Ghanim su The Intercept, “Israele teme le persone che raccontano al mondo quello che sta succedendo a Gaza: la guerra, il genocidio, la fame”.
Le teme al punto tale da zittirle, sporcarne la memoria e rimpiazzarle con influencer che spacciano inverosimili realtà alternative.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Un partecipante al Remigration Summit tenutosi a Gallarate lo scorso maggio è stato arrestato con l’accusa di terrorismo (Jacopo Di Miceli, Facta)
L’intelligenza artificiale è diventata la perfetta arma propagandistica dell’estrema destra europea contro le persone migranti (Anagha Nair, New Lines Magazine)
Robert Kennedy Jr. ha chiesto il licenziamento di Susan Monarez, direttrice dei CDC, per essersi rifiutata di implementare le sue politiche antivacciniste (Sheryl Gay Stolberg, Apoorva Mandavilli e Christina Jewett, New York Times)
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E' davvero molto significativo che dopo anni di terribili avvenimenti a Gaza e in Cisgiordania ci si debba ancora chiedere se i palestinesi se la stiano passando davvero male o se invece facciano finta forse per per impietosire il mondo. Le testimonianze dirette di giornalisti e istituzioni sicuramente super partes come Medici senza Frontiere, Emergency, ecc. hanno dell'incredibile e forse è per questo che qualcuno non ci crede proprio e pensa che la vittima sia Israele. C'è una interessante cronaca della situazione nel libro "Le chiavi di casa" del giornalista palestinese Sami al Ajrami, un testimone diretto che, tra l'altro, non può essere certo accusato di essere un simpatizzante di Hamas.
A me non sembra così difficile scegliere a quale propaganda credere...