Internet è morto
L’hanno ucciso i social e l’intelligenza artificiale, come sostiene una teoria del complotto che è tornata di moda negli ultimi tempi.
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LeBron James è incinto
Gli avvocati di LeBron James hanno inviato una diffida a un’azienda di intelligenza artificiale che realizza video in cui appare incinto.
Questo non è un titolo satirico alla Lercio – anche se può sembrarlo. È invece il titolo vero di un articolo giornalistico della testata 404 Media che racconta una storia assurda ed emblematica di cos’è diventato Internet nel 2025.
Da un po’ di tempo, infatti, il campione NBA compare sui social nelle vesti di una persona senza fissa dimora, mentre guarda il cantante Sean Combs (in arte Diddy) stuprare il cestista Steph Curry, o per l’appunto si accarezza il pancione su un divano o viene trasportato in ambulanza per partorire.
Queste clip – che hanno raggiunto milioni di visualizzazioni – sono generate con il tool Interlink AI, che si appoggia sulla piattaforma d’intelligenza artificiale FlickUp.
Nei server Discord di Interlink, riporta il giornalista Jason Koebler, giravano istruzioni dettagliate su come generare i video con James protagonista. Il quale evidentemente non l’ha presa bene, dando così mandato al suo avvocato di inviare la diffida.
È la prima volta che una celebrità cerca di tutelarsi legalmente contro contenuti non consensuali di questo tipo, che rientrano nel più ampio fenomeno della “sbobba artificiale” (AI slop) – ossia immagini e video, tendenzialmente di bassa qualità, generati con l’IA in quantità industriale.
Le piattaforme di Meta ormai traboccano di “sbobba artificiale”: Facebook, in particolare, è un blob indistinto di contenuti improbabili che spesso sfociano nel nonsense più assoluto.
Un account su X chiamato Insane Facebook AI slop li cataloga da tempo: oltre al famigerato Gesù sottomarino composto da gamberi, nel social di Zuckerberg sono comparsi bambini mutilati ai lati di una strada che chiedono soldi e like; strane creature che si trasformano in ragni giganti sul pavimento di un imprecisato centro commerciale; uomini che compongono una rosa di legno con una motosega; e donne anziane che festeggiano 269 anni.
Secondo uno studio condotto dalla ricercatrice Renée DiResta e dal collega Josh A. Goldstein, le pagine che pubblicano contenuti di quel tipo hanno motivazioni prettamente economiche.
L’obiettivo principale è monetizzare sulle visualizzazioni (nei paesi in cui è possibile) e accumulare seguaci sfruttando gli algoritmi di raccomandazione, per poi spingerli verso siti che vendono prodotti di vario genere.
Chiaramente, per arrivare allo scopo non si lesina neppure sull’utilizzo di bot. Come ha scritto Koebler, sia Facebook che Instagram – per non parlare di X – sono infatti un miscuglio inestricabile di
bot che parlano con bot, bot che parlano con bot ma si rivolgono agli esseri umani, umani che parlano con umani, umani che parlano con i bot, umani che interagiscono con contenuti creati dai bot, account che una volta erano umani ma ora sono bot, e umani preoccupati che il loro interlocutore sia un bot.
Il risultato di tutto ciò, chiosa il giornalista, è la “zombificazione” di piattaforme social che non sono né completamente morte ma nemmeno del tutto vive.
Dead Internet
L’aumento esponenziale della “sbobba artificiale” ha avuto anche un altro effetto: quello di rimettere in circolo la teoria dell’Internet morto, o Dead Internet Theory.
Stando a questa specie di teoria del complotto, i contenuti prodotti da bot e intelligenza artificiale avrebbero superato di gran lunga quelli generati dagli esseri umani.
A partire dal 2016 Internet sarebbe pertanto un posto “vuoto e sterile” amministrato in larga parte dalle macchine, dove la presenza umana sarebbe residuale e insignificante.
Questa teoria ha iniziato a circolare alla fine degli anni Dieci su alcune sezioni della imageboard 4chan. È diventata nota soltanto nel 2021, quando l’utente IlluminatiPirate l’ha rilanciata nel forum Agora Road’s Macintosh Cafe.
Tra le varie cose, nel suo lungo post affermava che la maggior parte dei contenuti sono generati dall’intelligenza artificiale (che all’epoca non era così ubiqua come oggi) e servono a “controllare i nostri pensieri e farci acquistare cose”. In sostanza, Internet sarebbe un’immensa “operazione psicologica militare”.
Chiaramente, non esistono dati o prove certe in grado di dimostrare la validità di queste speculazioni.
Ma non servono: come fanno tutte le teorie del complotto di successo, anche quella dell’Internet morto è credibile perché si basa su alcuni nuclei di verità.
Uno di questi è che la discussione pubblica in Rete – e in particolar modo sui social network – è fortemente inquinata da bot e contenuti generati con l’intelligenza artificiale.
Nel 2018 uno studio pubblicato su Nature ha rilevato che i bot hanno svolto un ruolo cruciale nella disseminazione su Twitter di articoli e informazioni non affidabili durante la campagna per le presidenziali Usa del 2016 – lo stesso anno da cui parte la teoria.
Nel 2019 un altro studio, apparso sempre su Nature, ha dimostrato che su Twitter la discussione sulle sparatorie di massa è sistematicamente avvelenata dai bot.
E ancora: all’apice della pandemia di Covid-19, come ha scoperto un’inchiesta di Reuters, l’esercito degli Stati Uniti ha condotto un’operazione clandestina di disinformazione per screditare il vaccino cinese di Sinovac nelle Filippine e in altri paesi del Sud-est asiatico.
Dal 2022 in poi, reti di bot e account filorussi sono stati impiegati in complesse operazioni di disinformazione che puntano a screditare l’Ucraina e il presidente Volodymyr Zelensky.
Nel corso dell’ultimo conflitto tra Israele e Iran, entrambe le parti hanno fatto un ampio ricorso a contenuti falsi generati con l’intelligenza artificiale.
La merdificazione della Rete
Tutto ciò ha ovviamente un impatto devastante su come le persone percepiscono la realtà, rendendo praticamente impossibile separare contenuti falsi da quelli veri o verosimili.
Le ricadute politiche sono enormi, al punto che diversi partiti e leader hanno convintamente incorporato la “sbobba artificiale” nella loro propaganda.
Tra i più attivi c’è indubbiamente Donald Trump, che dai suoi account rilancia video che mostrano le Trump Tower dorate a Gaza o l’arresto di Barack Obama nello Studio Ovale, oppure immagini in cui impugna spade laser e indossa una corona regale.
Per restare in Italia, nelle ultime settimane la Lega ha tappezzato Roma di cartelloni razzisti realizzati con l’intelligenza artificiale – ormai una specialità della casa.
Al di là di queste implicazioni, la teoria dell’Internet morto fa poi leva sulla nostalgia di un’Internet pre-social network.
Non a caso, l’immagine del post di IlluminatiPirate è un vecchio logo di Windows sopra la scritta “We’re living in the 90s” (“stiamo vivendo negli anni Novanta”).
Siamo dunque di fronte a una critica metaforica alle grandi piattaforme, accusate di aver rinchiuso Internet in una serie di “giardini recintati” - se non dei veri e propri ghetti algoritmici – e di aver corrotto l’idea originaria e utopica di una rete libera e accessibile a chiunque.
Chiaramente, annota sul Guardian il professore di comprensione pubblica della tecnologia John Naughton, nessuno è obbligato ad avere un account Facebook o Instagram. Tuttavia, le piattaforme sfruttano il potere delle reti sociali: se tutti i tuoi amici, colleghi e familiari sono su quei social, allora è veramente difficile starne fuori.
C’è poi una questione tecnica, aggiunge Naughton: le piattaforme non sono interoperabili; non si possono cioè trasferire contenuti, contatti e dati da un social all’altro. Una delle prime cose che ha fatto Musk quando ha comprato Twitter è stato chiudere le API, le interfacce che consentono alle applicazioni di interagire fra di loro.
La teoria dell’Internet morto è infine un attacco – e nemmeno troppo velato – alla cosiddetta enshittification.
Il neologismo, tradotto in italiano con il lemma merdificazione, è stato coniato nel 2022 dallo scrittore canadese Cory Doctorow e indica un processo in tre stadi:
All’inizio, le piattaforme tecnologiche sono al servizio degli utenti; poi cominciano a maltrattare gli utenti per soddisfare le esigenze dei clienti aziendali; quindi maltrattano i clienti aziendali per tenersi tutto il guadagno.
Il quarto stadio, aggiungo io, è quello in cui i colossi della Silicon Valley fanno ingoiare agli utenti la sbobba artificiale senza prendere provvedimenti; li costringono a usare “servizi” senza la possibilità di rinunciarvi (come l’AI Overview di Google); e aumentano arbitrariamente i costi degli abbonamenti (come fa Microsoft) senza comunicarlo in maniera trasparente.
Insomma: come aveva detto già nel 2019 l’inventore del World Wide Web Tim Berners Lee, “il web che c’è adesso non è quello che volevamo”. E all’epoca non aveva ancora visto Gesù e forma di gambero o il pancione di LeBron James.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
I coniugi Macron hanno fatto causa all’influencer trumpiana Candace Owens per la sua “transvestigazione” su Brigitte Macron (Kaye Wiggins, Leila Abboud e Lauren Fedor, Financial Times)
Trump non sta riuscendo a scrollarsi di dosso il caso Epstein, e anzi la situazione è sul punto di sfuggirgli di mano (Moira Donegan, Guardian)
Un approfondimento su come la teoria delle “false flag”, ossia le operazioni sotto falsa bandiera, sia ormai la lente prediletta per interpretare l’attualità (David Gilbert, Wired)
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"All’inizio, le piattaforme tecnologiche sono al servizio degli utenti; poi cominciano a maltrattare gli utenti per soddisfare le esigenze dei clienti aziendali; quindi maltrattano i clienti aziendali per tenersi tutto il guadagno.", in pratica è ciò che è accaduto anche in alcuni settori del lavoro con il capitalismo selvaggio (es. modello di sfruttamento dei rider con i servizi di consegna cibo a domicilio)
certamente non la cosa più importante, ma ero convinta che internet fosse una parola femminile =D