La teoria del complotto sul termine “teoria del complotto”
Poteva mancare un complotto sull’espressione che definisce il complottismo? Ovviamente no.
Benvenute e benvenuti alla puntata #12 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Quando si dice che esiste una teoria del complotto su ogni cosa, be’, non è solo un modo di dire: esiste davvero una teoria del complotto su ogni cosa – anche sul termine “teoria del complotto”.
Mi rendo conto che a prima vista possa sembrare una contorsione degna di un film di Nolan, ma in realtà è una teoria che aiuta a capire il nostro rapporto con le teorie del complotto. La puntata di oggi, inoltre, sarà la prima parte di un approfondimento teorico sulla natura e le caratteristiche del complottismo contemporaneo.
Dispaccio numero 1035-960
Anche se le teorie del complotto hanno una lunga storia alle loro spalle, il termine “teoria del complotto” – almeno nella sua accezione moderna – è tutto sommato recente. Per alcuni, ha anche una precisa data di nascita: il primo aprile del 1967.
Quel giorno, infatti, il quartiere generale della Cia a Langley spedisce alle sue “stazioni” in giro per il mondo il cablogramma numero 1035-960, dedicato alle “critiche al rapporto Warren” – ossia il rapporto finale della commissione d’inchiesta sull’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy, pubblicato nel 1964.
Il cablo parte con la costatazione che la morte di Kennedy ha scatenato ogni tipo di speculazione, e che ben il 46% degli americani non crede che Lee Harvey Oswald abbia agito da solo. In pratica, quasi un cittadino statunitense su due rigetta apertamente la versione ufficiale.
Tutto ciò, annota l’anonimo analista, è un grosso problema non solo per il governo ma per lo stesso servizio segreto. “Le teorie del complotto hanno spesso gettato sospetti sulla nostra organizzazione”, si legge, “sostenendo falsamente, ad esempio, che Oswald lavorasse per noi”.
Il resto del testo mette in fila le fallacie logiche di alcune teorie alternative allora in voga sull’omicidio Kennedy, e descrive Oswald come un soggetto disturbato e totalmente inaffidabile che nessun cospiratore serio utilizzerebbe in un piano elaborato – figuriamoci nell’eliminazione del presidente degli Stati Uniti.
L’obiettivo del cablo, pertanto, è quello di “fornire materiale per contrastare e screditare le affermazioni dei complottisti, nonché limitare la circolazione di certe teorie in altri paesi”.
Anche se il documento è stato reso pubblico dieci anni dopo la sua redazione grazie al Freedom of Information Act (Foia), le teorie sull’espressione “teorie del complotto” come invenzione della Cia hanno preso quota tra gli anni Ottanta e Novanta – affermandosi definitivamente nei primi anni Dieci del Ventunesimo secolo, quando è stata presa per buona dal politologo Lance deHaven-Smith nel saggio Conspiracy Theory in America.
Secondo il professore Michael Butter, esperto di complottismo e autore del recente The Nature of Conspiracy Theories, attualmente circolano due versioni della teoria. Quella più estrema sostiene che la Cia ha letteralmente inventato il termine da zero, visto che fino al 1967 nessuno aveva mai combinato insieme le parole “teorie” e “complotto”.
In realtà, almeno in lingua anglosassone, le prime occorrenze risalgono al 1870; e già un decennio prima, soprattutto nel periodo del cosiddetto maccartismo, il lemma conspiracy theory era entrato nel lessico comune.
La versione più “moderata” riconosce invece la previa esistenza del termine, ma afferma che la Cia gli abbia dato una connotazione negativa – trasformandolo dunque in un’arma di propaganda politica da usare per screditare i propri avversari.
Operazione Tordo
Ora, intendiamoci: non stiamo certo parlando di organizzazioni che si battono per la pace nel mondo, e nemmeno di paladini della libertà di stampa. La Cia ha infatti una lunga storia di manipolazione – tentata e riuscita – dell’informazione, nonché di utilizzo di giornalisti compiacenti per veicolare determinati messaggi.
Nel 1977, ad esempio, Carl Bernstein ha portato alla luce “l’operazione Mockingbird [tordo]” in una lunga inchiesta su Rolling Stone, spiegando che “negli ultimi 25 anni [quindi dagli anni Cinquanta] più di 400 giornalisti hanno segretamente lavorato e svolto compiti per la Central Intelligence Agency”. Più recentemente, alcune inchieste hanno delineato il ruolo della Cia nella produzione di alcuni film – su tutti Argo e Zero Dark Thirty.
Anche da noi, qualche anno fa, era venuta fuori l’esistenza di una “fabbrica della disinformazione e intossicazione” gestita dall’agente del Sismi Pio Pompa, che aveva il preciso ordine di “raccattare ogni genere di informazione, anche spazzatura” senza fare alcuna “distinzione o cernita tra il vero, il verosimile e il falso”.
In altre parole, come scrive Aldo Giannuli nel saggio Come i servizi segreti usano i media,
I servizi non sono solo antenne riceventi di informazioni, ma anche emittenti, e a pari merito. Nel mondo dell’informazione mandare messaggi è importante quanto riceverne: rinunciare a farlo equivale ad autoescludersi dal terreno dello scontro.
Il famigerato dispaccio #1035-960 si inserisce appieno in questa attività, ma effettivamente non c’è scritto da nessuna parte che il termine “teoria del complotto” debba essere usato per delegittimare chi critica il rapporto della commissione Warren.
Anzi: l’espressione “teorie del complotto” viene usata con molta disinvoltura, e l’autore del cablo non sente un particolare bisogno di definirlo. Segno, per l’appunto, che il termine era già di uso corrente. La cosa interessante, dice il professor Butter, è che all’epoca non aveva la stessa connotazione che ha oggi.
La stessa teoria del complotto sul termine “teoria del complotto” non è apparsa degli anni Sessanta, ma negli Ottanta – quando cioè il “complottismo” ha iniziato a essere associato a caratteristiche prevalentemente negative. In pratica, questa teoria è una reazione alla crescente ostilità verso il complottismo.
E non è nemmeno un caso che sia legata alle teorie alternative sull’omicidio di Kennedy, che in certi momenti – come sottolineava il cablo della Cia – di un ampio consenso popolare.
Il complottismo nella storia recente, tra accettazione e stigmatizzazione
Le teorie del complotto, ricorda Butter in un articolo su The Conversation, sono state una forma legittima di sapere dal 17esimo secolo fino agli anni Cinquanta del Novecento. Di solito partivano dall’alto, cioè dal potere, verso il basso – colpendo dunque “nemici esterni e sovversivi” con l’accusa di sabotare lo stato.
È solo dalla Seconda Guerra mondiale in poi che, almeno in occidente, il complottismo è stato progressivamente relegato ai margini del discorso pubblico, diventando così una “forma stigmatizzata” di conoscenza. Un effetto collaterale di questa esclusione è proprio l’interversione della direzione delle teorie del complotto: dal basso verso l’alto, cioè contro le “élite” accusate di organizzare cospirazioni interne allo Stato.
Più in generale, le teorie del complotto sono rimaste legate ad una concezione della storia e della agency umana in aperto contrasto con le scienze sociali contemporanee. Alla base di ogni teoria del complotto, infatti, c’è l’idea che i processi storici siano il risultato di una perfetta concatenazione causale di eventi; un qualcosa di pianificabile dal principio alla fine, insomma.
Ma come la psicologia ha dimostrato a partire da Freud, in molti casi nemmeno noi sappiamo veramente quello che vogliamo e spesso ci comportiamo in maniera del tutto irrazionale. E anche quando agiamo consapevolmente per raggiungere un preciso obiettivo, spesso e volentieri questo non avviene. Dopotutto – come rilevano da tempo la sociologia e la scienza politica – i sistemi sociali sono un qualcosa di complesso, che a volte generano situazioni imprevedibili e inaspettate.
L’emergenza di una teoria del complotto sul termine che si usa per definirle è l’emblema di questa tendenza. Non è la Cia, o chi per loro, ad aver dato una connotazione negativa a certe teorie e alla mentalità complottista; è l’intera società ad averlo fatto dopo decenni di confronti, pubblicazioni, saggi, studi e dibattiti su ogni piattaforma mediatica disponibile.
Ecco: nessuno l’ha deciso a tavolino. Perché nessuno, a ben vedere, ha il potere di farlo da solo.
Allo stesso tempo, sempre per Butter, il fatto che 2021 molte persone credano che ci sia un complotto persino sull’espressione “teoria del complotto” dimostra che siamo ormai entrati in una nuova fase della storia del complottismo. Dopo quello dell’accettazione e dello stigma totale, ora è il turno della coesistenza: le teorie del complotto sono contemporaneamente una forma di sapere legittima e screditata.
E se da un lato fanno a pugni con le moderne scienze sociali, dall’altro continuano a soddisfare esigenze profonde – su tutte quella di sentirsi padroni del proprio destino in un mondo caotico e incasinato, in cui molte cose sfuggono al controllo del singolo individuo.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Una panoramica del movimento globale anti-lockdown, a un anno dalla sua nascita (CodaStory)
I suprematisti bianchi hanno una strana ossessione per l’Impero Bizantino (Roland Betancourt, The Conversation)
Secondo alcuni seguaci di QAnon, il 4 marzo 2021 Trump doveva essere nominato di nuovo presidente. Sorpresa: non è successo assolutamente nulla (David Gilbert, VICE)
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La prossima settimana continuerò a parlare delle caratteristiche del complottismo in epoca moderna, intervistando il professore Michael Butter a partire dal suo ultimo libro.