I vaccini come la Shoah, le mascherine come le camere a gas
Dall’inizio della crisi sanitaria, in Occidente si è imposta una macabra tendenza: quella di usare e rovesciare i simboli dell’Olocausto per dipingersi come “vittime” di una “dittatura sanitaria”.
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È passato ormai più di un anno dai primi lockdown e dalle prime manifestazioni contro le misure restrittive. Da allora, tra picchi e discese, il “movimento anti-lockdown” è sempre rimasto attivo – e con il peggioramento dell’epidemia e della crisi economica, in alcuni paesi è anche cresciuto.
Ultimamente è emersa con sempre più frequenza una pratica piuttosto perversa: l’utilizzo rovesciato dei simboli dell’Olocausto. Ecco di seguito una panoramica di questo fenomeno.
Stelle gialle a Hyde Park
È il 24 aprile del 2021 e migliaia di persone stanno percorrendo la centralissima Oxford Street a Londra. Gridano all’unisono “libertà!”, intimano alle persone che stanno facendo shopping di “togliersi le mascherine” ed espongono cartelli con slogan di ogni tipo.
“Date una chance all’influenza”, recita uno. “No ai passaporti vaccinali,” si legge su un altro. “Devo dimostrare ai miei figli che non sono stato zitto”, dice un altro ancora. “Non c’è bisogno di prove per conoscere la verità”, sentenzia uno striscione.
Diversi manifestanti chiedono l’arresto di Matt Hancock, il ministro della sanità, e del premier Boris Johnson. Ci sono pure i seguaci di QAnon: tra questi, c’è chi chiede la “verità sull’adrenocromo” (nel gergo del movimento complottista indica una sostanza dagli effetti ringiovanenti, che si otterrebbe bevendo il sangue dei bambini); e chi indossa la maschera di Bill e Hillary Clinton, vestiti con la tuta arancione dei prigionieri di Guantanamo.
Verso il tardo pomeriggio, la folla defluisce verso Hyde Park; al rifiuto di sciogliere il raduno, la tensione esplode. Le forze dell’ordine cercano di disperdere i manifestanti, che resistono alle cariche lanciando oggetti e bottiglie contro gli agenti: alla fine, otto di questi rimangono feriti. Gli arrestati invece sono cinque.
Com’è già successo diverse volte nel corso dell’ultimo anno, la manifestazione – chiamata “Unite for freedom” – ha visto la confluenza di gruppi eterogenei, uniti dall’opposizione alle misure di sanità pubblica (nonostante l’allentamento del lockdown nel Regno Unito fosse iniziato qualche settimana prima) e dalla convinzione che le autorità stiano violando i diritti fondamentali per instaurare una “dittatura sanitaria”.
Per protestare contro questo fantomatico regime, hanno notato diversi cronisti, molti partecipanti hanno usato la simbologia dell’Olocausto – appuntandosi al petto le stelle di David (che gli ebrei erano obbligati a indossare nella Germania nazista e nei paesi occupati), facendo paragoni tra la vaccinazione di massa e la Shoah, e invocando un “nuovo processo di Norimberga” nei confronti dei membri del governo.
Alla marcia era presente anche Piers Corbyn, candidato sindaco di Londra per la lista Let London Live, fratello dell’ex leader del Labour Jeremy nonché volto noto del movimento complottista e anti-lockdown britannico.
Lo scorso febbraio era stato fermato per aver distribuito dei volantini con una foto dell’ingresso del lager di Auschwitz e il famigerato motto “Arbeit Macht Frei” (“il lavoro rende liberi”), sostituito dalla frase “I vaccini sono un percorso sicuro verso la libertà”. La scritta riprendeva provocatoriamente un titolo del quotidiano Evening Standard, che invitava gli scettici a sottoporsi al vaccino.
Insomma: siamo di fronte ad un riferimento strumentale dello sterminio degli ebrei europei, il cui significato è capovolto in maniera macabra. Il problema è che il fenomeno non è confinato solo al Regno Unito; è ormai globale.
Le mascherine rendono liberi
Durante la prima ondata della pandemia, questa tattica è stata usata estensivamente negli Stati Uniti nell’ambito delle manifestazioni contro i lockdown e a favore delle riaperture – eventi spesso supportati dall’ex presidente Donald Trump.
Nel maggio del 2020, ad esempio, a Chicago una donna ha esibito un cartello con il motto “Arbeit Macht Frei” e le iniziali del governatore JB Pritzker, che proviene da una famiglia di religione ebraica. In California si sono viste grafiche e fotomontaggi che ritraevano il governatore Gavin Newsom con i baffetti di Adolf Hitler, o illustrazioni in cui faceva il saluto fascista; in Michigan sono comparsi slogan con tanto di svastiche contro la governatrice Gretchen Whitmer – finita anche nel mirino di alcuni estremisti di destra, che avevano elaborato un piano per rapirla e ucciderla poi sventato dall’Fbi.
Per la Anti-Defamation League, lo stratagemma assolve a tre funzioni principali: “suscita lo choc dei passanti, intimidisce i bersagli e, sopra ogni cosa, attrae l’attenzione dei media”. E infatti, è stato replicato in paesi e contesti molto diversi tra loro.
All’incirca nello stesso periodo, in Germania – dove si è sviluppato uno dei più grossi movimenti anti-lockdown d’Europa – alcuni manifestanti hanno usato la stella di David con la scritta “non vaccinato” al suo interno, mentre altri si sono presentati ai presidi con le uniformi da carcerato reggendo cartelli con le frase “Le mascherine ti rendono liberi”.
Il comune di Monaco ha espressamente vietato l’uso della stella gialla, mentre il commissario contro l’antisemitismo Felix Klein ha parlato di “rottura calcolata di un tabù”. Tutto ciò però non ha scoraggiato il ricorso a quei simboli, che anzi si è intensificato nel corso degli ultimi mesi. Con il peggioramento della situazione epidemiologica, le misure anti-Covid adottate dal governo e dai Länder tedeschi sono state progressivamente equiparate al totalitarismo del Terzo Reich – persino dagli estremisti di destra.
E così, nell’ambito delle proteste in varie città tedesche, si è fatta strada una precisa iconografia con tanto di mascherine parodiche (con l’immagine del coronavirus al posto della svastica), la sfacciata esibizione del Diario di Anna Frank e gli accostamenti a figure come Sophie Scholl, l’attivista antinazista della Rosa Bianca trucidata nel 1943.
Nel gennaio del 2021 la stella di David (questa volta con la scritta “non testato”) è spuntata in una manifestazione anti-lockdown in Repubblica Ceca, suscitando le vibranti denunce della comunità ebraica e di associazioni antirazziste.
Pochi mesi dopo, in Ucraina, alcuni membri del gruppo complottista “Stop Fake Pandemic” (“Basta con la falsa pandemia”) si sono presentati in piazza a Kiev vestiti da prigionieri dei lager nazisti, sostenendo che le chiusure per arginare l’epidemia sono equiparabili alla persecuzione nazista subita dagli ebrei.
Eduard Dolinsky, direttore generale del Comitato Ebraico dell’Ucraina, ha definito questa trovata “un cinico e vergognoso insulto alle vittime dell’Olocausto”.
Più recentemente, il 17 aprile del 2021, centinaia di manifestanti si sono radunati in piazza Duomo per l’evento “Le bocche della verità”; uno di loro aveva appeso sul cappellino una stella gialla a sei punte con lo slogan “non vaccinato”.
Uno spietato rovesciamento simbolico
Per quanto sia diventata particolarmente visibile nel corso della pandemia, non è una strategia del tutto inedita.
Già prima della pandemia gli antivaccinisti avevano iniziato a usare la stella di David sui social e in presidi, dipingendosi come le vittime sacrificali di un’ingiusta persecuzione. Come mi ha detto via mail la semiologa Valentina Pisanty (studiosa del negazionismo della Shoah e autrice del saggio I guardiani della memoria), “di per sé non c'è nulla di nuovo nell'uso polemico dei simboli nazisti per delegittimare gli avversari”.
Da decenni, continua, “il lessico dell'Olocausto è la moneta spicciola di molta comunicazione politica, prima in riferimento al conflitto medio-orientale (soprattutto dopo la guerra in Libano del 1982), e poi sempre più a vanvera. Non c'è quasi personaggio pubblico controverso che non sia stato a un certo punto paragonato a Hitler”.
Tuttavia, l’uso che ne fanno le destre ultranazionaliste – e di converso anche i complottisti contemporanei, non necessariamente di destra – è più obliquo e difficile da interpretare. “Non si tratta solo di demonizzare i nemici equiparandoli ai nazisti, ma anche di trovare un pretesto per ostentare quegli stessi simboli, mischiando le carte in tavola visto che le citazioni sono simultaneamente rivendicative e polemiche”.
Pisanty fa l’esempio dei manifestanti anti-lockdown californiani, che rappresentano il governatore Newsom come un dittatore nazista e al contempo si scambiano saluti fascisti. L’accusa principale rivolta ai democratici è dunque quella di “essere ipocriti e doppi (un po’ come gli ebrei secondo la propaganda nazifascista), tolleranti e parole ma dispotici nei fatti”. Il ragionamento è un po’ il seguente: “Come ti permetti di darmi del nazista (cosa che, a rigor di logica, dovrei considerate come un complimento), tu che mi privi della libertà di fare quel che mi pare?”
Ed è esattamente questo, continua la semiologa, il grande paradosso delle attuali destre radicali – che da un lato sono “intente a riabilitare le idee di coloro che bruciavano i libri”, e dall’altro si considerano “martiri della democrazia e della libertà d’espressione”.
Ad avviso di Pisanty, però, un simile paradosso è alimentato anche dagli impropri paragoni tra pandemia e Olocausto fatti (spesso in buona fede) dal fronte democratico – e in particolar modo dalla stampa. Dopotutto, l’appropriazione di questo immaginario è anche un modo distorto di respingere l’etichetta di “negazionista del Covid”, che di base tende a escludere dal dibattito coloro ai quali è appiccicata.
Alla fine, comunque, ci sono pochi dubbi: si tratta di uno spietato rovesciamento simbolico di una delle pagine più cruente e tragiche della storia dell’umanità.
E “strumentalizzare il destino degli ebrei perseguitati dall’ideologia antisemita e sterminati nei campi con gas velenosi per schierarsi contro la vaccinazione, che salva vite umane”, ha scritto su Twitter l’account del Memoriale di Auschwitz, “è un sintomo di degenerazione morale e intellettuale”.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
Un’analisi sugli influencer antivaccinisti e le loro strategie comunicative e retoriche (Renée DiResta, The Atlantic)
In Giappone QAnon continua ad andare forte, e i seguaci giapponesi hanno persino organizzato una manifestazione pro-Trump (Emiko Jozuka, Selina Wang and Junko Ogura, CNN Business)
Siccome nella puntata precedente avevo parlato del documentario Q: Into the Storm, ecco un’intervista molto lunga – ma molto bella – al regista Cullen Hoback (dal podcast QAnon Anonymous)
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