I miti complottisti su Hitler che non muoiono mai
Dal "sangue ebraico" fino alla fuga dal bunker, il revival delle teorie sul Führer sembra non avere mai fine.
Benvenute e benvenuti alla puntata #43 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie delle complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Anzitutto mi scuso per la prolungata assenza, ma tra una cosa e l’altra è stato un periodo veramente pieno. In questa puntata, che eccezionalmente non esce durante il weekend, analizzo il revival delle teorie del complotto su Hitler a partire dalla famigerata uscita del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov sul “sangue ebraico” del Führer.
Prima di iniziare, però, un po’ di comunicazioni di servizio: il panel che ho tenuto al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia si può vedere a questo link. Sono inoltre tornato a fare un po’ di presentazioni in presenza del libro: ne farò una a Bologna mercoledì 18 maggio, al Borgo Mameli dalle 18.30 in poi.
Su Facta invece potete trovare un mio approfondimento sulla teoria dei “biolaboratori ucraini”, che negli ultimi giorni è tornata nuovamente di moda. Ricordo infine che nelle storie del mio profilo Instagram c’è sempre la rassegna stampa aggiornata di Complotti!.
In ogni famiglia c’è un mostro
Prima dell’invasione dell’Ucraina, il ministero degli esteri russo Sergei Lavrov era considerato un diplomatico scaltro, abile e raffinato.
L’ex ministra degli esteri dell’Austria Ursula Plassnik, ad esempio, l’aveva definito “uno degli attori di politica estera più informati e rispettati nel panorama globale”; l’ex premier Paolo Gentiloni lo ha descritto come un tipo “sornione e spiritoso”, e addirittura “l’uomo più intelligente mai conosciuto”.
Ora, invece, è pressoché indistinguibile dai complottisti più esagitati che postano assurdità a getto continuo sui propri canali Telegram.
Oltre ad aver rilanciato più volte la teoria dei “biolaboratori” statunitensi in Ucraina, dove si starebbero progettando armi chimiche o nuove pandemie, ha pure negato platealmente il massacro di Bucha parlando di una “messa in scena fatta girare sui social dall’Occidente e dall’Ucraina”.
All’inizio di marzo, sempre per restare sul filone dei crisis actor, Lavrov aveva anche negato il bombardamento dell’ospedale di Mariupol in un incontro a porte chiuse con l’omologo ucraino Dmytro Kuleba. Quest’ultimo ha infatti raccontato che il ministro degli esteri russo “mi ha detto guardandomi negli occhi che le foto delle donne incinte scattate in mezzo alle macerie erano fasulle”.
Ma a ben vedere, tutto ciò è nulla rispetto all’ormai famigerata intervista-comizio del primo maggio del 2022 a Zona Bianca su Rete 4. In breve, Lavrov ha detto che la presunta “denazificazione” di un paese guidato da un presidente di religione ebraica è legittima perché “anche Hitler aveva sangue ebreo” e comunque “gli ebrei sono i più convinti antisemiti”.
In altre parole, Zelensky è praticamente Hitler. Tant’è che, ha rincarato il politico russo, “in ogni famiglia c’è un mostro”.
Comprensibilmente, dichiarazioni di quel genere hanno causato un putiferio immane – specialmente in Israele. Dani Dayan, presidente del Museo della memoria di Gerusalemme, ha detto che le affermazioni di Lavrov sono “false, deliranti e pericolose”. Yair Lapid, il ministro degli esteri israeliano, ha parlato di frasi “imperdonabili ed oltraggiose” e convocato l’ambasciatore russo a Tel Aviv.
Anche il premier Naftali Bennett ha duramente criticato il ministro degli esteri russo, sostenendo che “lo scopo di tali bugie è incolpare gli ebrei stessi per i crimini più terribili della storia che sono stati commessi contro di loro”.
Di tutta risposta il ministero degli esteri russo ha pubblicato una nota ufficiale in cui non solo non si scusa, ma ci aggiunge pure il carico: “Israele sostiene il regime neonazista in Ucraina”, si legge, e “i mercenari israeliani stanno combattendo a fianco dei militanti Azov”.
Alla fine Vladimir Putin in persona si è dovuto scusare con Bennett per l’uscita di Lavrov, e più per ragioni geopolitiche (Israele non si è unita alle sanzioni e non sostiene militarmente l’Ucraina) che per reale convinzione.
Dopotutto, a partire dallo stesso Putin, la mentalità complottista è parecchio diffusa ai vertici del Cremlino. E come ha detto al TIME Ilya Yablokov, professore all’Università di Sheffield e autore di Fortress Russia, “la classe politica russa ha davvero oltrepassato ogni limite” con la teoria di “Hitler ebreo” – e ora “possono davvero dire qualsiasi cosa, senza alcun freno”.
Ma come mai Lavrov ha tirato fuori proprio quella leggenda? E perché quest’ultima continua a circolare ancora adesso?
Il nonno di Hitler e il “macellaio della Polonia”
Il mito delle origini ebraiche di Hitler ha ormai più di un secolo. In un’intervista all’AFP, lo storico austriaco Roman Sandgruber ha spiegato che le prime dicerie sono comparse negli anni Venti – quando Hitler ha iniziato a essere un volto noto della politica tedesca – e hanno continuato pure nei Trenta, fino alla definitiva ascesa al potere.
All’epoca si sosteneva che il cognome “Hitler” fosse ebreo, e che a Bucarest (capitale della Romania) ci fosse una famiglia con lo stesso appellativo. Secondo un’altra versione, invece, Hitler sarebbe nato a seguito di una tresca tra un membro della famiglia dei Rothschild (al centro di moltissime teorie del complotto) e una loro domestica.
Quella più nota, tuttavia, si basa sul fatto che l’identità del nonno paterno di Hitler è sempre rimasta sconosciuta. A renderla popolare nell’immediato dopoguerra è stato Hans Frank, governatore nazista della Polonia occupata (conosciuto come il “macellaio della Polonia”) e criminale di guerra condannato a morte al processo di Norimberga.
Nelle sue memorie (pubblicate postume nel 1946) Frank sostiene di aver fatto ricerche sull’albergo genealogico di Hitler su ordine diretto del Führer, poiché quest’ultimo gli avrebbe mostrato la lettera ricattatoria di un nipote che minacciava di rivelare le sue “vere origini”.
Secondo le “indagini” di Frank, la nonna paterna di Hitler Maria Anna Schicklgruber era rimasta incinta di Alois Hitler mentre lavorava a casa dei Frankenberger, una famiglia di religione ebraica residente a Graz. Frank scrive di aver anche consultato delle fantomatiche lettere da cui emerge che i Frankenberger avrebbero sostenuto economicamente il padre di Hitler fino all’età di 14 anni.
Come però hanno fatto notare diversi storici, la teoria di Frank non sta in piedi da molti punti di vista.
Anzitutto, la nonna paterna è morta prima che nascesse Hitler, e non ci sono prove o testimonianze sulla sua effettivamente permanenza in questa famiglia. Tra l’altro, l’esistenza stessa della famiglia Frankenberger non risulta da nessuna parte. Infine, alla data di nascita di Alois (1837) non c’erano persone ebree a Graz, visto che erano state espulse dalla città nel Quindicesimo secolo per farvi ritorno solo intorno al 1860.
In sostanza, la leggenda sull’ascendenza ebraica di Hitler assolve soprattutto a due funzioni. La prima è quella di razionalizzare la sconfitta nazista nella Seconda guerra mondiale: il conflitto è stato perso perché il Führer era ebreo, e dunque inadeguato.
La seconda, se possibile, è ancora peggiore: sminuire la gravità dell’Olocausto. Il piano di sterminio non sarebbe avvenuto per motivazioni razziste e genocidarie, ma per l’odio che Hitler provava verso sé stesso – come del resto, stando alla propaganda antisemita, fanno tutti gli ebrei.
Fuga dal bunker
Quella sulle origini ebree è una delle più famose teorie del complotto su Hitler, ma non è la più famosa: questo titolo spetta infatti alla presunta fuga dal bunker di Berlino.
A grandi tratti, la storia di questo complotto la conosciamo più o meno tutti: Hitler non si è ucciso il 30 aprile del 1945, ma è scappato dal bunker (con un aereo o un sottomarino) insieme alla compagna Eva Braun e ha passato tranquillamente il resto della sua vita in Sud America.
Come ha ricostruito lo storico Richard Evans nel recente saggio Hitler e le teorie del complotto, già a partire dagli anni Cinquanta “l’idea che Hitler fosse sopravvissuto era ormai entrata nell’immaginario popolare”. Per lo storico Donald McKale, autore di Hitler: The Survival Myth, queste voci non sono mai state innocue o semplicemente eccentriche:
Tali rappresentazioni fantastiche danno più o meno inconsapevolmente l’impressione, alle generazioni presenti e future, che Hitler, il peggiore assassino di massa della storia, fosse una sorta di superuomo capace di ingannare un’ultima volta il mondo. […] Perpetuando l’idea della sua sopravvivenza contro ogni previsione, tali rappresentazioni insinuano che il Führer avesse natura non già umana, bensì quasi divina.
A ogni modo, più il mito si è diffuso, meno è diventato credibile. Secondo varie versioni, infatti, Hitler ha vissuto: in un monastero tibetano; in Arabia Saudita; in Indonesia, dove si è pure convertito all’Islam; in Brasile, dove si è spostato con una donna nera per “dissimulare il suo passato nazista”; in una prigione segreta degli Urali; in una base sotterranea in Antartide; e addirittura, ehm, sulla Luna.
L’ipotesi più longeva è quella della residenza in Argentina fino alla morte, principalmente perché fa leva su un fatto reale e comprovato – ossia la presenza di ex gerarchi nazisti nel paese arrivati lì tramite le famigerate “vie dei ratti”, spesso e volentieri con l’aiuto del Vaticano.
La seconda vita di Hitler in Argentina è al centro di tante opere, alcune delle quali di grande impatto – come il libro del 2011 Grey Wolf: The Escape of Adolf Hitler (poi diventato un documentario) dei giornalisti britannici Gerrard Williams e Simon Dunstan.
I due si sono basati in larga parte su un libro del 1987 (Hitler murió en la Argentina) dell’astrologo argentino Manuel Monasterio, il quale sostiene che Hitler ha avuto due figlie con Eva Braun – una di queste, diranno teorie successive, sarebbe Angela Merkel – ed è morto nel 1972. In realtà, Monasterio si era inventato di sana pianta praticamente tutto.
Qualche anno dopo l’uscita di Grey Wolf, Williams è riuscito a farsi produrre da History Channel un’intera serie televisiva sulla presunta scomparsa di Hitler, chiamata Hunting Hitler e andata in onda dal 2015 al 2018 (in Italia è stata trasmessa nel programma Atlantide di La7).
Il successo di Hunting Hitler non è accidentale, ovviamente. Evans evidenzia infatti che nel “Ventunesimo secolo sono apparsi più libri sulla seconda vita di Hitler in Argentina che nei cinquantacinque anni precedenti”, e che dagli anni Dieci in poi “il dibattito storico riguardante la morte di Hitler è stato dominato da teorie cospiratorie”.
In generale, il revival cospirazionista investe tutte le teorie su Hitler. E questo, secondo Evans, rientra in una tendenza più ampia che “ha visto coagularsi diverse influenze attraverso le quali si confondono i confini tra realtà e finzione o si presentano ‘verità’ alternative, ognuna delle quali si arroga il diritto di corrispondere alla realtà”.
Tuttavia, il problema dei nostri tempi non è tanto la persistenza del mito di “Hitler ebreo”; è piuttosto che questo venga usato scientemente da un ministro degli esteri per giustificare una guerra d’aggressione.
Articoli e cose notevoli che ho visto questa settimana:
La strage di Buffalo è l’ennesimo attacco terroristico di estrema destra alimentato dalle teorie del complotto (David Neiwert, Daily Kos)
Mentre i seguaci di QAnon statunitensi glorificano la guerra in Russia e Vladimir Putin, quelli russi sono contrari all’invasione (Aiganysh Aidarbekova, Bellingcat)
Negli ultimi mesi si sono tenute diverse manifestazioni negli Usa fuori dai parchi della Disney, accusati di ospitare segretamente delle reti di pedofili (Tess Owen, VICE)
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