Cesare rosso
Elon Musk, JD Vance e diversi ideologi conservatori sono convinti che gli Stati Uniti abbiano bisogno di un “dittatore repubblicano”.
Benvenute e benvenuti alla puntata #81 di COMPLOTTI!, la newsletter sulle teorie del complotto che ti porta dentro la tana del Bianconiglio.
Manca sempre meno alle elezioni statunitensi, quindi le prossime uscite saranno dedicate principalmente a una delle tornate elettorali più importanti del 2024. Oggi mi occuperò di una teoria che gira da tempo negli ambienti trumpiani: quella del “Cesare rosso”.
Prima di partire, qualche comunicazione di servizio sui miei appuntamenti della prossima settimana: il primo ottobre parlerò di complotti ed estremismo a Torino al Polo del ‘900 insieme a Jacopo Di Miceli, curatore di Osservatorio sul complottismo; poi il 4 ottobre a Vigonza (Padova), nell’ambito della rassegna Guaivo (sulla loro pagina IG ci saranno più informazioni); e infine il 6 ottobre al Festival di Internazionale a Ferrara.
Segnalo sempre il mio ultimo saggio Le prime gocce della tempesta. Si può acquistare nelle librerie (quelle indipendenti sono sempre da preferire) e nei negozi online. Sul mio profilo Instagram trovate una rassegna stampa aggiornata e le date delle presentazioni, che aggiorno man mano.
Quante volte pensi all’Impero romano?
All’incirca un anno fa, su TikTok e altre piattaforme imperversava il trend degli uomini che pensano costantemente all’Impero romano e all’antica Roma. Era nato con intenti ironici, come fanno molti fenomeni di Internet, ma ben presto era diventato qualcosa di più serio.
Come aveva spiegato un articolo dell’epoca apparso sul Washington Post, la fissazione maschile per l’antica Roma deriva dal fatto che “le società occidentali hanno sempre enfatizzato alcuni aspetti della storia romana che la cultura popolare ha collegato alla mascolinità”.
E quando la persona media pensa all’antica Roma, aveva aggiunto la storica Hannah Cornwell, vengono subito in mente “le immagini delle legioni romane, dell’aquila imperiale e dei gladiatori, tutti simboli associati al potere e alla mascolinità”.
Per intenderci: il trend non riguardava tanto l’antica Roma in sé, quanto piuttosto la fascinazione ipercontemporanea per una certa idea (anche distorta) dell’antica Roma.
E questa fascinazione non la provano solo cosplayer statunitensi o i fidanzati delle utenti di TikTok, ma anche gente del calibro di Elon Musk.
Nell’estate del 2023, poco prima che esplodesse il fenomeno, l’uomo più ricco del mondo aveva annunciato che si sarebbe scontrato con Mark Zuckerberg nell’“antica Roma” – presumibilmente il Colosseo - come dei veri lottatori. Ovviamente non era vero: l’allora ministro della cultura Gennaro Sangiuliano aveva smentito tutto, e alla fine l’incontro non si è mai tenuto.
I riferimenti di Musk all’antica Roma non si sono però fermati lì. Il fondatore di Tesla e SpaceX ha scritto che l’Impero romano è caduto a causa del declino demografico (una sua grande ossessione); che la serie Rome di HBO è ben fatta; che l’antica Roma era molto avanzata tecnologicamente; e che ovviamente lui ci pensa ogni giorno.
In una conversazione su X che tirava in ballo accuse infondate di corruzione nei confronti del presidente Joe Biden, Musk ha suggerito che “forse abbiamo bisogno di un moderno Silla” – il famoso politico e militare romano attivo durante la repubblica romana, passato alla storia per essere stato nominato “dittatore a vita” e per le liste di proscrizione dei suoi oppositori.
In sostanza, Musk invocava un dittatore per mettere ordine nel caos repubblicano degli Stati Uniti.
Tutto ciò, è bene ricordarlo, è avvenuto ben prima dell’appoggio esplicito a Donald Trump. Non è azzardato supporre, dunque, che il “moderno Silla” di Musk possa essere proprio l’ex presidente.
E c’è pure di peggio: Musk non è l’unico a pensarla così.
La tarda repubblica statunitense
Oltre al trend dell’Impero romano, negli ultimi anni l’esperienza della repubblica romana ha fatto ripetutamente capolino nel dibattito politico statunitense.
All’inizio di marzo del 2020 – prima della fase più acuta della pandemia, delle rivolte scatenate dall’omicidio di George Floyd e dell’assalto al Congresso – lo storico ed esperto di storia romana Tim Elliot spiegava in un lungo articolo su Politico che la traiettoria della repubblica statunitense è paurosamente simile a quella della repubblica romana.
Più di duemila anni fa, scriveva Elliot, i romani si trovavano in una situazione per certi versi simile a quella statunitense del ventunesimo secolo. Ossia quella in cui un leader autoritario e dittatoriale – Giulio Cesare – “passa sopra le norme democratiche, si fa beffe dei contrappesi al suo potere ed erode il dibattito politico”.
Un po’ come adesso, le élite romane dell’epoca erano convinte che il sistema repubblicano fosse troppo forte, troppo bilanciato e troppo sacrosanto per essere scardinato da una singola figura politica, per quanto carismatica e popolare.
Ma si sbagliavano di grosso, proseguiva Elliot: “Cesare ha disintegrato quell’illusione nella stessa maniera in cui Trump ha ridefinito i confini dell’accettabilità politica negli Stati Uniti, rivelando quanto le istituzioni non siano davvero in grado di arginare la minaccia dell’autoritarismo”.
La stagione del cesarismo ha lasciato una repubblica divisa, polarizzata e preda della violenza politica - elementi che poi hanno portato al suo collasso.
Chiaramente, i romani dell’epoca non potevano sapere che il loro periodo storico sarebbe stato ribattezzato “tarda repubblica”. Così come gli statunitensi di adesso, avvertiva Elliot, potrebbero star vivendo nella “tarda repubblica americana” senza saperlo.
Di sicuro, lo storico aveva tracciato quel paragone storico come una forma di avvertimento: se non si cambia rotta, la democrazia statunitense è in serio pericolo.
Tuttavia, e qui arriviamo al punto, diversi ideologi conservatori e filotrumpiani (generalmente racchiusi all’interno della New Right) desiderano uno scenario tardo repubblicano dal quale Trump emerga come un “Cesare rosso” – dove “rosso” non è l’orientamento politico, naturalmente, ma il colore del Partito Repubblicano.
Il primo ad avanzare l’idea di un “cesarismo americano” è stato Michael Anton, membro del think tank conservatore Claremont Institute nonché consulente strategico di Trump.
Per dare l’idea del personaggio, Anton è diventato noto con la pubblicazione dell’articolo The Flight 93 Election – firmato con lo pseudonimo romaneggiante Publius Decius Mus – in cui paragonava l’elezione presidenziale del 2016 al dirottamento del volo 93 della United Airlines, quello che l’11 settembre del 2001 è precipitato in un campo vicino a Shanksville a causa della rivolta dei passeggeri.
Lasciar vincere Hillary Clinton, scriveva Anton, avrebbe significato morte certa per il conservatorismo; puntare su Trump, invece, era l’equivalente politico di sfondare la cabina di pilotaggio e ostacolare i dirottatori di Al-Qaeda: un tentativo disperato, ma comunque preferibile alla morte certa. Il senso dell’argomentazione di Anton, insomma, è che bisognava provarle tutte pur di fermare il Partito Democratico.
Nell’articolo c’è una menzione al “cesarismo”, ma non è positiva: figura tra le possibili conseguenze negative di una vittoria di Hillary Clinton.
Quattro anni più tardi, però, Anton ha ripreso il concetto nel saggio The Stakes (uscito prima delle elezioni del 2020) e sostanzialmente se n’è appropriato: il termine “cesarismo rosso” viene infatti descritto come una “forma di governo individuale tra la monarchia e la tirannia”, nonché come il male necessario per arginare un’inarrestabile deriva a sinistra.
Cesare 2025
Come ha ricostruito il giornalista Jason Wilson sul Guardian, Anton non è l’unica figura intellettuale del mondo trumpiano a proporre il “cesarismo rosso” come rimedio definitivo.
Nel saggio War on the American Republic, il politologo conservatore Kevin Slack sostiene che le idee progressiste sono talmente predominanti da aver corroso le fondamenta della democrazia statunitense, rendendola una specie di tirannia liberal.
In un contesto del genere, afferma il docente, non sorprende che a destra ci siano discussioni sull’avvento di un “Cesare rosso” in grado di “istituire un ordine post-costituzionale” per “ridare il potere al popolo”.
E ancora: in un altro libro, intitolato The Case for Christian Nationalism, il politologo integralista Stephen Wolfe arriva a invocare una vera e propria “rivoluzione” per eleggere un “Cesare cristiano” e instaurare un “cesarismo teocratico” per combattere il secolarismo.
Quest’immaginario cristologico si è rinforzato dopo il fallito attentato di Butler, che ha assunto evidenti tinte messianiche. L’essere sopravvissuto al tentato omicidio è stato interpretato come il segno della volontà divina: il candidato repubblicano deve andare fino in fondo e salvare gli Stati Uniti dal Male.
La suggestione del “cesarismo rosso”, insomma, pervade ampiamente certi circuiti conservatori e trumpiani. Ma – e questo è l’aspetto cruciale – non è affatto marginale, né confinata lì.
Nel 2021 il candidato a vicepresidente JD Vance, che all’epoca era candidato come senatore nello stato dell’Ohio, aveva detto in un podcast che
Ci troviamo in un periodo tardo repubblicano: se vogliamo invertire la rotta dobbiamo darci veramente dentro, fare cose davvero radicali e spingerci in direzioni che ora come ora danno fastidio a un sacco di conservatori.
Nello stesso intervento, Vance suggeriva a Trump di “licenziare ogni impiegato di medio livello e ogni funzionario nella pubblica amministrazione e di rimpiazzarli con i nostri”.
A tal proposito, l’idea di impossessarsi dello stato federale attraverso una purga di massa è il cuore pulsante del “Project 2025”, un piano d’azione radicale per un eventuale secondo mandato trumpiano, elaborato da oltre cento associazioni e think tank conservatori – tra cui il Claremont Institute.
Se implementate fino in fondo, le proposte contenute nel documento finale di 900 pagine trasformerebbero gli Stati Uniti in una specie di teocrazia fascista guidata per l’appunto da un “Cesare rosso”, con un potere semi-divino.
Tra queste, giusto per fare qualche esempio, c’è la previsione di un controllo presidenziale totale sulle istituzioni federali, basato su una screditata teoria pseudo-costituzionale (la Unitary Executive Theory); il ridimensionamento (ai limiti dello smantellamento) dell’FBI, considerata troppo woke e vicina ai democratici; la chiusura dei confini e la deportazione di massa dei migranti; l’estensione a livello nazionale del divieto di aborto; la promozione di un’istruzione improntata ai dettami del nazionalismo cristiano; la messa al bando della pornografia, considerata un veicolo di propaganda LGBTQIA+; e tanto altro ancora.
Trump ha detto di non saperne nulla, ma secondo la CNN al piano hanno collaborato più di 140 persone legate al 45esimo presidente – inclusi sei ex segretari della sua amministrazione.
E lo stesso candidato repubblicano, del resto, negli ultimi mesi sta parlando come un vero e proprio dittatore in pectore.
Tra le varie cose ha promesso di estirpare “i comunisti, i marxisti, i fascisti e gli estremisti di sinistra che si annidano come parassiti dentro i confini della nostra nazione”; ha accusato i migranti di “avvelenare il sangue della nostra nazione”; e ha fatto intendere che, in caso di vittoria, farebbe arrestare i suoi avversari politici.
In altre parole, è pronto a varcare il Rubicone.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Come gli influencer della disinformazione sfruttano gli algoritmi delle piattaforme social per distorcere la realtà (Sander van der Linden, Nature)
Perché la gente crede alle bufale dei politici anche se sa che non sono vere? C’è questo studio che prova a capirlo (Minjae Kim, Ohio Capital Journal)
I riot razzisti di questa estate nel Regno Unito hanno portato alla luce un fenomeno a prima vista strano: la crescente radicalizzazione degli uomini di mezza età (Sara Wilford, The Conversation)
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Musk ha comprato Tesla, non la ha fondata.
Sono convinto che sarebbe la soluzione ideale per il resto del mondo.
Gli USA si chiudono in se stessi in una tirannia totale e il resto del mondo può finalmente liberarsene e andare avanti senza la loro continua ingerenza.