Caccia ad Antifa
Dagli Stati Uniti all’Europa, le destre stanno alimentando il panico morale contro i movimenti antifascisti per reprimere il dissenso interno.
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Cattivi maestri
Negli Stati Uniti di Donald Trump, occuparsi di antifascismo a livello accademico è una professione estremamente pericolosa – un’attività ad alto rischio che può farti rischiare la vita e costringerti a scappare dal paese.
Non si tratta di un’esagerazione: è quello che è successo al professore della Rutgers University Mark Bray, autore del saggio del 2017 Antifa: The Anti-Fascist Handbook.
Il 9 ottobre Bray, insieme alla sua famiglia, è riuscito a prendere un volo per la Spagna dopo essere stato bloccato in aeroporto per ragioni non ancora chiarite. Rimarrà in Europa almeno un anno, o comunque fin quando non si saranno calmate le acque.
Per il professore la situazione è precipitata dall’omicidio di Charlie Kirk in poi, e l’ha fatto molto velocemente.
La sete di vendetta del movimento MAGA e dell’estrema destra statunitense si è concentrata (anche) su lui non tanto per quello che ha detto o fatto, ma per il semplice fatto di aver scelto quel campo di ricerca.
Diversi influencer estremisti e la stessa organizzazione di Kirk, Turning Point USA (TPUSA), hanno descritto Bray come un membro del movimento Antifa – com’è chiamato negli Stati Uniti dalla contrazione di antifascist – che “promuove terrorismo e violenza politica”.
In un post su Instagram, la sezione di TPUSA della Rutgers ha scritto: “Volete diventare socialisti? Se sì, allora prendete appuntamento con questo professore!!!!” Già anni addietro Bray era finito nella lista di proscrizione dei docenti di sinistra (veri o presunti tali) compilata da Kirk.
Il docente è stato poi raggiunto da svariate minacce di morte, alcune delle quali piuttosto specifiche e credibili. “Ti ucciderò davanti ai tuoi studenti”, ha scritto un account anonimo. Altri utenti l’hanno doxxato, pubblicando online l’indirizzo della casa in cui abita insieme alla moglie e i due figli.
L’accanimento era arrivato a un punto tale, insomma, che per Bray l’unica strada percorribile era quello dell’autoesilio.
Le minacce più gravi sono arrivate dopo essere stato attenzionato da Jack Posobiec, un complottista di estrema destra che nel corso degli anni ha rilanciato teorie come il Pizzagate, la “sostituzione etnica” e gli inesistenti brogli dei democratici alle presidenziali del 2020.
Per Posobiec l’autore di Antifa sarebbe addirittura un “professore terrorista”. E non l’ha scritto soltanto su X, ma l’ha ripetuto di fronte a Donald Trump e altri membri della sua amministrazione.
Mentre Bray si stava autoesiliando, alla Casa Bianca si è svolta una tavola rotonda per definire i contorni del nuovo nemico pubblico numero uno: Antifa, per l’appunto.
Colpire Antifa per colpire tutti
In quell’incontro, giusto per far capire il tono, la segretaria del dipartimento della sicurezza interna Kristi Noem è arrivata a comparare Antifa con le organizzazioni criminali sudamericane (tra cui MS-13 e Tren de Aragua) e con i gruppi armati islamici, tra cui ISIS, Hezbollah e Hamas.
“È un fenomeno altrettanto sofisticato e pericoloso come loro”, ha aggiunto. C’è solo un piccolo problema in questa descrizione: Antifa non esiste.
Non parliamo infatti di un’entità gerarchica, ma di un’ideologia fluida che raccoglie al suo interno varie correnti – quella anarchica, quella anticapitalista, quella antifascista, quella anti-autoritaria, quella socialista, quella comunista, e così via.
Non è un movimento strutturato, ma una rete decentralizzata di gruppi e individui che agiscono in modo del tutto autonomo. Per sua natura non c’è un leader, non c’è una sede, né ci sono conti in banca da sequestrare.
Tutto ciò l’aveva spiegato nel 2020 (all’apice delle proteste per la morte di George Floyd) l’allora direttore dell’FBI Christopher Wray, che aveva sconsigliato Trump dall’inserire Antifa nella lista delle organizzazioni terroristiche interne – una mossa che effettivamente venne accantonata.
Ora però le cose sono diverse, e l’uccisione di Charlie Kirk ha fornito il pretesto per andare fino in fondo.
Il 22 settembre Trump ha firmato un ordine esecutivo con cui si designa Antifa come un’organizzazione terroristica, definendola “un’organizzazione militarista e anarchica che invoca esplicitamente il rovesciamento del governo degli Stati Uniti, delle autorità di polizia e del nostro sistema giuridico”.
Tre giorni dopo il 47esimo presidente ha emanato un memorandum (il National Security Presidential Memorandum 7, NSPM-7) in cui viene delineata la strategia per colpire Antifa, chi fiancheggia “l’organizzazione” e più in generale chiunque si rifaccia a ideologie “anti-americane, anti-capitaliste e anti-cristiane”.
Nel memorandum la violenza politica della sinistra radicale – che è nettamente minoritaria rispetto a quella dell’estrema destra – viene raffigurata come l’esito di “campagne di intimidazione mirata, radicalizzazione e minacce” concepite per “ostacolare il funzionamento della società democratica”.
Per questo, si legge,
È necessaria una nuova strategia di contrasto da parte delle forze dell’ordine che indaghi su tutti i partecipanti a queste associazioni criminali e terroristiche — comprese le strutture organizzate, le reti, le entità, le organizzazioni, le fonti di finanziamento e le azioni preliminari che le sostengono.
Per il giornalista Jeff Sharlet, autore del saggio The Undertow. Scenes from a Slow Civil War ed esperto di estrema destra, il NSPM-7 ricorda molto da vicino le leggi putiniane contro gli “agenti stranieri”, che servono unicamente a schiacciare il dissenso e terrorizzare gli oppositori.
L’aspetto più problematico è senza dubbio l’elasticità della categoria: dentro Antifa e i suoi presunti sostenitori può finirci semplicemente chiunque, a totale discrezione di Trump e dei suoi sgherri – su tutti il vicecapo di gabinetto Stephen Miller.
Per lui gli Stati Uniti sono un paese dove la sinistra sta già conducendo una guerra civile contro i conservatori.
Di fronte a uno scenario del genere lo Stato non può andare per il sottile: il nemico va annientato utilizzando la forza della legge e dell’immenso apparato securitario post-11 settembre.
Miller, che è l’esponente più radicale e ideologicizzato dell’amministrazione Trump, non si accontenta però di fermarsi agli Antifa o a George Soros; vuole arrivare al bersaglio grosso, cioè al Partito Democratico – che per lui non è nemmeno un partito politico ma “un’organizzazione estremista”.
Trumpismo applicato
La caccia agli antifascisti non è però limitata agli Stati Uniti: seguendo l’esempio trumpiano, anche in Europa i partiti di destra stanno chiedendo la messa al bando di movimenti di sinistra e l’inasprimento delle leggi antiterrorismo.
Il primo a tracciare la via è stato il premier ungherese Viktor Orbán, che lo scorso 27 settembre ha inserito Antifa nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.
Nell’annunciare la misura ha citato esplicitamente Ilaria Salis, descritta come una pericolosa sovversiva venuta a delinquere in Ungheria per poi farsi eleggere all’Europarlamento e “darci lezioni sullo stato di diritto”.
In una lettera inviata a Kaja Kallas, l’alta rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea, il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto ha invitato le istituzioni europee a mettere fuori legge Antifa e “allineare i suoi passi con quelli degli Stati Uniti, la forza leader nella lotta globale al terrorismo”.
Szijjarto ha aggiunto che “questa violenta rete di estrema sinistra ha condotto attacchi brutali in tutta Europa, anche a Budapest”. Riferendosi ancora una volta a Salis, che di recente ha mantenuto l’immunità parlamentare per un solo voto, ha inoltre scritto che “con grande rammarico, i sospetti hanno successivamente eluso la giustizia rifugiandosi negli Stati dell’UE”.
Anche l’eurogruppo dei Patrioti, che racchiude varie formazioni di estrema destra, ha avanzato una proposta per dichiarare Antifa un’organizzazione terroristica a livello europeo.
Nei Paesi Bassi, invece, il Parlamento ha approvato una mozione presentata dall’estrema destra per chiedere l’inserimento di Antifa nelle organizzazioni terroristiche.
Nel testo si sostiene che “le cellule Antifa sono attive anche nel nostro Paese e minacciano i politici interrompono le riunioni, intimidiscono studenti e giornalisti e non risparmiano l’uso della violenza”.
Ironicamente, come ha sottolineato Jacopo Di Miceli su Valigia Blu, il giorno dopo l’approvazione centinaia di estremisti di destra hanno seminato il panico nelle vie dell’Aia, scontrandosi con la polizia e assaltando la sede del partito di centro D66.
Infine, non poteva mancare l’Italia.
Alcuni esponenti della Lega, ormai un partito sempre più trumpizzato e MAGAficato, hanno organizzato un sit-in davanti alla stazione centrale di Milano per chiedere la messa al bando di Antifa dopo i disordini verificatisi a margine dello sciopero per Gaza del 22 settembre.
A reggere i fogli con la scritta “#BanAntifa” c’era pure Andrea Ballarati, referente italiano del “Remigration Summit” e alleato dell’identitario Martin Sellner, con cui ha organizzato il convegno a Gallarate dello scorso maggio – un raduno zeppo di neonazisti, suprematisti e addirittura un estremista di destra olandese arrestato lo scorso agosto con l’accusa di terrorismo.
Anche l’eurodeputata Silvia Sardone, nominata da poco vicesegretaria della Lega insieme a Roberto Vannacci, ha bollato i manifestanti come “gentaglia che va equiparata ai terroristi” e ha dichiarato che “alcuni gruppi andrebbero messi fuori legge”.
Negli Stati Uniti e in Europa si è dunque aperta la stagione della caccia all’antifascista.
E che il nemico sia in larga parte inventato, poco importa: gli effetti che produrrà questa ondata repressiva saranno purtroppo reali.
Articoli e cose notevoli che ho visto in giro
Gli attentati politici sono sempre più difficili da decifrare, e questa confusione è alimentata dai meme e dalla cultura brainrot (Brandy Zadrozny, MSNBC)
Perché Peter Thiel, il capostipite della corrente reazionaria della Silicon Valley, è così ossessionato dall’Anticristo? Questo lungo e dettagliatissimo articolo lo spiega bene, ed è piuttosto inquietante (Laura Bullard, Wired)
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In Italia mi sembra di capire (e voglio credere) che la Lega sia piuttosto isolata su questi argomenti.
Estrema sinistra ed estrema destra stanno trovando dei punti in comune da noi e storicamente credo sia più difficile tagliare con l'accetta certe correnti.
Ripropongo qui una riflessione al riguardo che però non so se inquadra realmente la situazione attuale oppure manca di visione d'insieme.
Alle manifestazioni ProPal vediamo bandiere e slogan che, quando ero bambino io, venivano sventolate e cantati dall'MSI con i ragazzi del Fronte della gioventù che indossavano la kefiah, mentre all'interno della DC Andreotti era tra i più ferventi filo-palestinesi.
Pochi anni dopo la storia si è rovesciata e ho fatto in tempo a partecipare da liceale a cortei dove chi indossava la kefiah si trovava dall'altra parte dello schieramento.
Ora mentre la destra "di governo" da Fini in poi si è avvicinata alle posizioni israelo-americane, i duri e puri nostalgici neofascisti della vecchia guardia anticapitalista e antimperialista hanno circunavigato il "mappamondo politico" andando ad incontrarsi e stringere la mano con quelli che un tempo si trovavano nel campo opposto ed erano i nemici giurati. D'altronde le minoranze che fanno casino in piazza si dicono di sinistra o anarchici e si ritrovano ad inneggiare ad Hamas che tra le altre cose è un partito di destra.